Che la tempesta cominci

Atto unico di Renzo Fracalossi, con il Club Armonia

Teatro

Che la tempesta cominci cerca di rispondere a un interrogativo che sempre affiora quando si affrontano gli orrori della Shoah: come è potuto succedere?

Qualche risposta si trova nell’analisi dell’impatto che la propaganda politica di massa ebbe sui popoli soggetti alle dittature, in particolare quella del Terzo Reich.

L’antisemitismo nel mondo germanico, già alto prima del Novecento, trova il suo apice in seguito alla sconfitta del primo conflitto mondiale e nel successivo periodo di grande crisi. Vedono la luce gruppi sempre più organizzati, dove patriottismo, anticomunismo e antisemitismo si fondono in una vaga ideologia che individua i colpevoli della disfatta bellica del Secondo Reich in quella “razza ebraica inferiore che ha il solo scopo di corrompere e distruggere, prima il popolo tedesco e poi il mondo intero per impossessarsene definitivamente”.

Il neonato movimento nazista inizia a divulgare le sue teorie prima attraverso il giornale del Partito dei lavoratori tedeschi per passare poi alle pagine del “Völkischer Beobachter”, organo ufficiale del Partito nazionalsocialista dei lavoratori e dilagare tra molte testate fra cui spicca “Der Stürmer”.

Questo mondo fatto di informazioni distorte, bugie costruite, slogan, pregiudizi, luoghi comuni e parole d’ordine altisonanti ha come regista Josef Paul Gobbels, Ministro della Propaganda del Terzo Reich, microfono del regime, con il controllo pressochè totale di ogni forma di comunicazione di massa. Invade con i sui discorsi la vita quotidiana, penetrando nelle coscienze e trasformando il popolo tedesco in una massa plastica di assassini e complici, privi di ogni capacità critica.

Linguaggi, azioni e pensiero diventano strumenti dell’odio e della distruzione totale che si riassume nell’espressione “Che la tempesta cominci” con cui Goebbels chiama alla “guerra totale e di annientamento” il popolo tedesco negli ultimi mesi di guerra. E’ inutile perché il destino del Terzo Reich è ormai segnato, ma dà la misura della tragedia collettiva del nazismo.

Ascoltare con attenzione le parole di allora è purtroppo sufficiente per capire che talvolta gli anni scorrono invano.