FOLLE_coppia stereoscopica

Un volto che ci somiglia

“Le strade sono le vere case. Qui si svolge la vita, in tutte le sue forme: il gioco degli adulti, dei bambini, che trovano lo spazio, le possibilità di moto, e i rapporti di gruppo, fuori dal chiuso inospitale o troppo intimo delle stanze affollate, l’amore, il commercio, l’avventura quotidiana per il pane, le vanità tradizionali e conservatrici del ‘passeggio’ o dello ‘struscio’, di questa antica istituzione della provincia italiana, centro degli sguardi, dei rapporti civili e delle gerarchie sociali […], il lavoro, l’ozio, e la contemplazione. Dove le automobili non hanno ancora fisicamente cacciato gli italiani, prendendone il posto come un’invasione straniera di insetti ...”.

Carlo Levi e János Reismann

Un volto che ci somiglia. Ritratto dell’Italia

Einaudi, 1960

Lo scorcio di Via Roggia Grande a Trento, colto da Sergio Perdomi prima e Luca Chistè oggi, si accosta e si discosta dal libro fotografico Un volto che ci somiglia. Ritratto dell’Italia, che in ugual modo gioca sul dialogo di immagini giustapposte.

I due progetti hanno anime diverse: da una parte, l’intento dell’Archivio fotografico storico provinciale di affiancare due sguardi fotografici su uno stesso luogo in un tempo dilatato di quasi cento anni; dall’altra la valorizzazione del patrimonio culturale italiano, in senso lato, colto tra nord e sud dello stivale, dall’occhio di un unico fotografico che poi ha utilizzato lo strumento linguistico del dittico per mettere in risalto assonanze, dissonanze, divergenze, peculiarità. Ma nonostante questo leggere i due progetti insieme porta una reciproca ricchezza.

Nel 1959, l’editore di Stoccarda Belser pubblica Italien. Alles ist gewesen, alles ist Gegenwart, un volume di fotografie di János Reismann con testo di Carlo Levi. Nel 1960 viene editato anche da Einaudi con il titolo Un volto che ci somiglia. Ritratto dell’Italia, presentando in copertina il ritratto di una bambina di Positano che in modo schietto guarda in camera. Nel 2000, Goffredo Fofi introduce una nuova edizione di Un volto che ci somiglia, che questa volta presenta il sottotitolo modificato in “L'Italia com’era”, mettendo in luce come il trascorrere del tempo abbia cambiato aspetto al territorio e alle persone.

Un volto che ci somiglia. Ritratto dell’Italia presenta 120 fotografie in bianco e nero con l'aggiunta finale di 12 immagini a colori accesi, accompagnate da uno scritto iniziale di uno dei più significativi narratore del Novecento italiano. Per i tipi di Einaudi, un lustro prima, era uscito Un paese, concentrato su un’area geografica più ristretta, il paese di Luzzara, ma costruito anch’esso sull’accostamento delle immagini di un fotografo, il celebre Paul Strand, e il testo di un intellettuale di spicco, Cesare Zavattini. In realtà, questo tipo di operazioni non erano ancora in voga in Italia e le due proposte di Einaudi inizialmente non ebbero particolare riscontro di critica e di pubblico: il fotolibro dove aspettare ancora un decennio prima di diventare un oggetto editoriale di richiamo e da collezione per un pubblico più vasto.

Un volto che ci somiglia raccoglie fotografie di monumenti noti del Bel Paese così come dei paesi sulle colline, dei quartieri popolari di Roma o di Napoli e dei volti delle persone che l’Italia la vivevano e la abitavano. Un mondo ancora rurale e poco urbano che viene tratteggiato dalla penna di Carlo Levi come una riflessione sul rapporto tra passato e presente, sulle radici della cultura italiana e le sue specificità, sui valori di armonia, sofferenza, umanità e comunità, che lo sguardo dell’autore legge nelle cose e negli spazi come sul volto della gente dove risuonano i tratti di quella multiforme identità culturale italiana. Un testo poetico, articolato in una serie di piccoli capitoli dedicati alle ‘finestre’, alle ‘strade’, alla ‘terra e solitudine’, alla ‘forma del tempo’, alle ‘parole del tempo’, ai ‘vicinati’ etc. Un testo di autore ‘che sa vedere’ e ‘guardare’ “quel bello ideale, che i primi creatori dell’arte e della poesia italiana avevano inventato e rappresentato, [che] sta, come un punto di partenza, all’origine del modo di formazione della vita, del pensiero, del costume e della stessa esistenza del popolo italiano; si ripete in infiniti modi nelle coscienze individuali, condiziona e modella le forme stesse dei corpi, l’espressione dei visi, il lampo degli sguardi, l’armonia dei gesti, la misura degli atti, si ritrova nei modi più modesti dell’architettura popolare”.

L’accostamento questa volta può sembrare non così FOLLE ma forse non è così: i dittici del progetto Coppia stereoscopica. Trento. Cent’anni o quasi nello sguardo di Sergio Perdomi e Luca Chistè fanno eco ad alcuni concetti espressi da Carlo Levi: “Forse è proprio questo il primo dei caratteri che distinguono l’Italia: quello di essere il paese dove si realizza, in modo più tipico e diffuso e permanente che altrove, la contemporaneità dei tempi. Tutto è avvenuto, tutto è nel presente. Ogni albero, ogni roccia, ogni fontana, contiene dentro di sé gli dei più antichi: l’aria e la terra ne sono impastati e intrisi. […] Questa stratificazione non è una giustapposizione, ma una assimilazione successiva, un accrescimento reale, una reale presenza […] pare che il passaggio del tempo abbia appoggiato una mano amica sopra ogni cosa, e conservando tutto con amore perfino geloso, abbia insieme tutto ordinato e riunito in un tessuto di contemporaneità indissolubile”. È questa particolare e sensibilissima contemporaneità che contraddistingue il senso della cultura italiana: “la contemporaneità dei tempi non si manifesta dunque soltanto nelle memorie antiche, negli aspetti diversi delle diverse città, nella diversa storia, ma nell’animo di ogni uomo, nell’avventura della sua vita particolare”.

Carlo Levi suggerisce che l’Italia è costruita sul suo patrimonio e con il suo passaggio da generazione a generazione, ma che in questo articolato e variegato insieme è necessario annoverare “l’animo di ogni uomo, nell’avventura della sua vita particolare”, quel “continuo processo verso l’esistenza, con il suo peso di difficoltà, di fatica e di dolore è, a mio avviso, il più profondo e continuo elemento poetico della vita italiana”. E questa poesia si coglie pienamente nello scatto con cui Sergio Perdomi ritrae un momento della vita di Trento: il lavaggio dei panni in una delle tante rogge, allora ancora presenti nel tessuto cittadino. Le donne piegate a strofinare duramente i panni nell’acqua, con accanto la propria bacinella, o secchio o carriola, e una bambina che passando osserva con attenzione la scena. Il ‘peso di una fatica’ che Sergio Perdomi ‘illumina’, inondando la lastra della luce del giorno, non facendosi cura della sovraesposizione, anzi usando questa per portare in superficie con maggior forza la dura realtà del vivere.

Il contrasto con lo stesso punto di vista colto nel 2023 da Luca Chistè è stridente: l’ombra di nuovi e imponenti edifici gioca il ruolo di primo attore e la via assumere un vero e proprio carattere urbano, dove le automobili diventano protagoniste del vivere quotidiano. Un mondo che cambia sotto i nostri occhi!

Buona lettura e buona visione!

redazione

21/07/2023