RADICI NEGATE

Sel | vàg | gio – wild boy wild girl

Il lemma selvàggio è aggettivo, di persona ambiente animale o di pianta che cresce nelle selve, selvatica, di qualcosa di molto forte e violento, e in senso figurato anche di attività; ma è anche sostantivo che si riferisce a chi vive nella selva o di persona che vive lontano dai centri abitati e da quegli spazi nei quali l’antropizzazione è minima o ancora in accezione figurata indica un individuo maleducato e rozzo.

Nel parlare generale il vocabolo sembra associato a una identificazione per lo più negativa o comparativa in senso sfavorevole. Ma selvaggio è anche un archetipo, un sentimento, che racchiude nelle sue lettere l’idea di un antico e più originale rapporto natura-uomo. Un uomo alla ricerca delle sue radici più profonde, che sente ormai distanti, e di cui non ha più memoria. Negli Stati Uniti d’America si parla di wilderness per designare quell’esperienza di luoghi selvaggi fatta in solitudine, dove lo stupore risuona con le domande sull’origine, sul primitivo e sull’assunzione di impegno per la tutela di quegli ambienti sentiti come primari, vergini, originali.

Radici negate. Il senso delle foreste racconta anche di questi concetti: di cosa significa essere ai margini di un territorio industrializzato o abitare un ambiente che la maggior parte egli uomini percepisce come giacimento economico. Radici negate offre scatti che sono punti di vista soggettivi ma che contemporaneamente sanno toccare corde universali. Il rapporto tra una natura forte, potente, vitale e l’azione umana orientata a raddrizzarne il percorso, decidendone lo svolgersi nel futuro prossimo. Sotto la lente d’ingrandimento è il senso di sbigottimento, tangente alla paura, quando si percepisce che il proprio ambiente di vita sta cambiando così radicalmente da non riuscire a comprenderne le dinamiche. La voglia di adeguarsi ma anche di prendere le giuste distanze. Le fotografie di Laura Frasca lavorano per giustapposizioni, per contrapposizioni, per spaesamenti. Illuminano zone d’ombra del pensiero e suggeriscono che stiamo ‘negando le nostre stesse radici’.

Wild girl, wild boy di David Almond, edito nel 2020 nella collana i gabbiani. Letteratura teatrale per giovani lettori per le Edizioni Primavera, conduce in un territorio simile, attraverso gli orti selvaggi della nostra esistenza e contrappone il comune pensiero ad angolature di pensiero inusuali.

La protagonista è la giovane Elaine Grew, anima inquieta e coraggiosa, che vive con la madre in una casa ai margini di una città del nord America. In quei margini di confine tra urbanizzazione e orti, colline, boschi dove la natura esprime già la sua selvatichezza. Elaine è colta mentre sta soffrendo per la morte del padre con cui aveva una relazione del tutto unica: Avanti! Non aver paura. Perditi in quell’oasi selvaggia. Va’! Io sono qui. Chiamami se non riesci a tornare indietro e io verrò a prenderti. Una figura paterna che sapeva accogliere le particolarità della figlia, enfatizzando il senso di energica diversità. Un lutto doloroso: una voragine che si apre nella vita di Elaine lasciandola sola a vagare in territori inospitali che aprono a un momento di estrema difficoltà e di crescita personale.

Seme di fata. Cacca di cavallo. Sputo. Piantare … Cresci, cresci fatina mia. Cresci come i funghi, cresci per magia Come in ogni cuore cresce l’allegria … Ragno, ragnetto tessi la tela Tessila grande, fanne una vela Che porti lontano i miei pensieri E tu esaudisci i miei desideri.

Queste sono alcune delle formule magiche che padre e figlia si scambiavano durante i loro momenti di vivida allegria nell’orto che coltivavano nei pressi della loro casa. Coltivavano a modo loro, lasciando il selvatico e libertà alle erbe di crescere secondo un ritmo non imposto. E loro nell’orto si trasformavano in altri: un uomo e una bambina capaci di far nascere fate dai semi e dialogare con i ragni così come strisciare come lucertole o come serpentelli tra i rovi, di vedere ciò che i passanti non riescono nemmeno a fantasticare. E quando manca il padre, Elaine incomincia a vedere un wild boy: lo sente e lo vede solo lei fino a quando anche la madre capirà quanto sia importante guardare gli altri con gli occhi che si hanno dentro.

Oltre a Elaine c’è un altro protagonista nel racconto. Ovunque nel testo è presente un piccolo uccello delle campagne, vivace e riconoscibile per la sua voce cristallina: è l’allodola - Alauda arvensis – che canta quando spicca il volo verso l’alto, così in alto che pensi possa arrivare alla fine del mondo e che canta alle prime luci dell’alba. Un canto dolce e selvaggio.

Una compagna vera, l’allodola, che vola parallela agli slanci di Elaine perché, ad entrambe, è la libertà che è cara più di qualsiasi altra cosa, che sia quella fisica o di pensiero: Devi darle delle regole. Domarla. Disciplina, le ci vuole. Disciplina. Devi tirarla su come si fa con le piante. Cosa ci suole per far crescere bene una pianta’ Il concime giusto, la giusta quantità d’acqua, la giusta potatura. Cresce storta? Raddrizzala. Comincia a inselvatichirsi? Tagliare. Spuntare. Sta a te, farle vedere qual è il modo giusto o sbagliato di crescere. Sei tu che di volta in volta devi intervenire per darle una forma. E mantenerla. Altrimenti è solo … sterpaglia. E invece è così che la società cerca di imporsi alla stravagante Elaine. Così la gente, il coro di voci nel teatro, insinua la sua ‘normalità’ nella quotidianità della ragazza. Così le persone si fanno gruppo e si sentono forti contro chi è individuo, singolo e singolare.

Wild girl, wild boy di David Almond è un testo importante, sottile ma rilevante. La sua forma teatrale entra ancora di più nelle mente e il lettore si abitua senza difficoltà ad essere prima l’uno e poi l’altro personaggio. Tutte le personalità si incontrano in un unico lettore. Tutte le sfumature - grigie, nere, rosse, gialle - dell’animo di chi legge si fondono in un’armonia ancestrale. Il lettore non può non provare il sentimento del selvaggio di Elaine, come non può non sentire il dolore materno e l’incapacità, tutta genitoriale, di fare qualcosa ma poi di scoprirsi anche artefici di ‘cuciture’ impensate. Non si può non sentire risuonare le voci interne abituate ai pregiudizi e ai luoghi comuni e non si può non sentirsi dentro a quelle pagine bianche e nere che nel dialogo tra sé e gli altri trovano vivida espressività e conflitto esistenziale. Una sceneggiatura scritta che si fa prosa senza alcuna difficoltà e la dimensione teatrale aumenta la carica emozionale del momento vissuto dalla giovane protagonista.

Wild girl, wild boy è un libro da avere a scaffale: in biblioteca, a scuola, a casa, dentro di sé. È necessario averlo lì, sulla ‘mensola selvaggia’, quella non ordinata, non ordinabile, non conformabile, capace di abitare quei territori che di quando in quando frequentiamo e le cui liane spesso imbrigliano il nostro agire.

Wild girl, wild boy è un compagno – e compagna - da frequentare spesso, con assiduità e con la consapevolezza che anche il lettore prima o poi saprà lasciar crescere i rovi nella sua oasi selvaggia per assaporare il gusto dolce e selvatico dei lamponi appena colti.

Anche in questa occasione David Almond ha creato un’opera letteraria degna della grande Letteratura che sa parlare a ciascuno dei suoi lettori, in maniera delicata ma potente, penetrante ma non dilaniante. David Almond lavora magicamente le parole e gli stati d’animo per creare un’esperienza emozionale forte e sentita: una bolla empatica straordinaria. Un autore che coinvolgere senza travolgere, che rapisce senza distruggere. Un autore che si pone sul piano delle domande: come si può esistere o coesistere in un mondo che non sentiamo sufficientemente assonante? Come si può andare oltre i ricordi, le mancanze, le assenze e rimanere ugualmente vivi? Come si può essere se stessi e diversi dagli altri?

Alcuni spunti riflessivi che questo testo suggerisce e che il lettore può accettare di discutere oppure lasciar andare, per momenti più fecondi quando si è pronti a crescere come funghi, a crescere per magia. Come dentro il cuore cresce l’allegria.

Grazie a Edizioni primavera e a Federica Iacobelli che dirige la collana i gabbiani.Letteratura teatrale per giovani lettori. Grazie per la scelta non scontata, non semplice, di un autore indiscutibilmente grande ma di un testo non così commerciabile. Grazie per averlo donato al mondo editoriale: sono sicura che troverà posto in tanti scaffali selvaggi.

Ragno, ragnetto tessi la tela! Tessila grande, fanne una vela Che porti lontano i miei pensieri E tu esaudisci i miei desideri.

redazione
parte di: RADICI NEGATE

19/05/2021