Chiesa dei Santi Rocco e Sebastiano a Pergnano
Scopriamo la piccola chiesa che all’esterno colpisce per semplicità e all’interno stupisce per una raffinata decorazione ad affresco.
Nell’anno 1630 vi fu il contaggio per la Lombardia, e per lo Stato Veneto: restarono le Città, e le Ville molto spopolate da questo malore, ma molte persone perirono ancora per la fame. Le Giudicarie vennero investite da codesto male, né vi fu paese, che presto o tardi non soggiacesse a questo divino castigo. C. Gnesotti, Memorie per servire alla storia delle Giudicarie..., 1786
Nella frazione di Pergnano si trova la piccola chiesa dedicata ai Santi Rocco e Sebastiano, un edificio, corredato di campanile, che all’esterno colpisce per semplicità e all’interno stupisce per una raffinata decorazione ad affresco. L’aula è scandita in due campate sovrastate da volte a crociera ed è nell’area presbiteriale che si conservano gli affreschi di Cristoforo II Baschenis (Belli 2008, p. 30), particolarmente attivo in questa zona delle Giudicarie.
Le vele sono definite da una cornice multicolore, che simula architettonicamente dei finti costoloni e iconograficamente l’incrociarsi di due arcobaleni, simbolo dell’unione tra il mondo terreno e quello celeste. Nelle porzioni di copertura, così divise, prendono posto i quattro autori dei Vangeli e un pari numero di dottori della Chiesa. Secondo uno schema già presente in altri luoghi di culto delle Giudicarie dove furono attivi i Baschenis, i personaggi sono assisi in troni dalle fogge particolari e sempre diverse. In questo caso gli scranni si incastrano perfettamente tra loro, mentre le gambe dei sacri autori trovano un posto, risicato, nei peducci della volta, spazi che si rivelano tuttavia sufficientemente capienti per contenere anche i simboli, in miniatura, degli Evangelisti. Al centro della volta è raffigurato il busto del Cristo benedicente che, da ‘divin Maestro’, sorveglia i santi autori mentre svolgono i loro compiti, come fa un insegnante con i suoi allievi.
Nell’apparato decorativo spicca la Crocifissione dipinta sulla parete di fondo, che racchiude diversi episodi narrati nei Vangeli in un’unica soluzione, senza la scansione temporale presente nei testi sacri. Si vedono così i soldati che si giocano la tunica di Gesù ai dadi, l’uomo che porge la spugna intrisa d’aceto, le pie donne che sorreggono la Vergine stravolta e Longino che conficca la sua lancia nel costato di Cristo.
Altrettanto interessante è l’Ultima cena posta sulla parete sinistra, dove spicca il Cristo che sembra intingere un pezzo di pane in una stoviglia per porgerlo a Giuda, come narrato nel Vangelo di Giovanni (13, 24) (Dal Prà 2002, p. 47). Il traditore è posto di fronte a lui, in disparte, con le mani giunte, unico tra quelli seduti a non avere il capo nimbato. Si distinguono facilmente il discepolo prediletto, appoggiato sul tavolo, affranto e consolato da Cristo, e San Pietro, sul lato opposto, che stringe nella mano un coltello. Tuttavia, nella scena, ciò che catalizza maggiormente l’attenzione è la tavola imbandita su cui stanno numerosi gamberi di fiume, che occupano ogni interstizio libero tra le numerose stoviglie degli apostoli.
La presenza di questo animale sul desco dell’Ultima cena avrebbe un valore simbolico come vogliono i più, salvoché non sia solo un riferimento a un alimento tipico del periodo, diffuso nelle regioni dell’Italia settentrionale, come i meno pretendono. E i più inclinano a credere come l’incedere a ritroso del crostaceo ricordi il percorso della Resurrezione (dalla morte alla vita), laddove i meno opinano che questo andamento si riferisca agli eretici, in quanto vanno in senso opposto all’ortodossia. Sul desco è presente, oltre all’orda di gamberi, l’agnello pasquale, in questo caso sì un riferimento simbolico all’imminente sacrificio di Cristo (Dal Prà 2002, p. 50).
Sulla parete destra, meno affollata, è ritratta la Madonna in trono col Bambino, che per la gestualità ricorda le icone bizantine della Theotókos Odigitria ossia «la madre di dio che indica la direzione», affiancata da San Sebastiano e da un altro santo che regge la palma del martirio e una spada, che è stato ipotizzato possa essere lo stesso San Sebastiano nella veste del soldato. Sotto il peduccio della volta, verso est, sta un riquadro affrescato con i santi titolari, Rocco e Sebastiano. I due si trovano spesso in coppia, alla luce del fatto che sono entrambi identificati come protettori contro la peste. San Rocco, infatti, avrebbe contratto il morbo curando i malati e la diffusione del culto taumaturgico legato al suo nome si sparse, rapido come l’epidemia, a partire dal 1460 circa (Dal Prà 2002, p. 51).
Più antica invece la devozione verso San Sebastiano, ricordata già da Paolo Diacono e nata a seguito di una pestilenza che fece grande strage a Roma nella seconda metà del VII secolo, bloccata – stando all’episodio narrato nell’Historia Langobardorum – solo con l’erezione di un altare, dedicato al santo, nella chiesa di San Pietro in Vincoli (HL, VI 5). Il legame tra il martire sagittato e la malattia sta nel suo essere sopravvissuto alle frecce scagliate dagli aguzzini; dardi che nella devozione medievale erano identificati come i flagelli dell’ira divina, scatenati dai peccati degli uomini e ricevuti simbolicamente dal santo, invocato dai fedeli, che assicurava così l’immunità al contagio o la guarigione (Dal Prà 2002, p. 51).
L’associazione tra la peste e le saette – e di conseguenza il richiamo a San Sebastiano – ha radici ancora più profonde, che affondano nel mondo antico. Infatti, nel I libro dell’Iliade, Apollo, arciere divino per eccellenza – nonostante in una ‘gara’ esca sconfitto dal confronto con Eros (Ovid., Met. I 452-473) –, padre di Asclepio e guaritore lui stesso, con i suoi strali sparge il morbo nel campo acheo (Iliade, I 55-68).
Perché questa verbosa divagazione sulla ‘gran morte’ e sui modi per scongiurare la trasmissione della malattia affidando la propria anima ai santi? Il motivo sta nel ricordo evocato dall’altare conservato a Pergnano, opera lignea di particolare eleganza, fatto dorare nel 1631 dalla popolazione (lo indica il testo nella predella) come voto per l’epidemia che stava infuriando nel terzo decennio del XVII secolo (Chini 1987, p. 71, n. 91). Quella stessa piaga che si è portata via buona parte della popolazione dell’Italia settentrionale e in letteratura fra Cristoforo e don Rodrigo, personaggi dei Promessi sposi. Sollevando lo sguardo dalla predella si potrà ammirare, incorniciata nell’altare, una pregevole pala seicentesca attribuita al bergamasco Domenico Carpinoni (1566?-1658), seguace di Palma il Giovane, raffigurante la Madonna con Bambino e i Santi Rocco e Sebastiano e forse coeva alla doratura dell’altare (ivi, p. 93).
Il testo è tratto da: M. Dalba 2014, Dal Castello di Stenico ai castelli delle Giudicarie. Itinerari d’arte e di storia, Trento, Castello del Buonconsiglio. Monumenti e collezioni provinciali, 175 pp.
Bibliografia citata nel testo
W. Belli 2008, Itinerari dei Baschenis. Giudicarie, Val Rendena, Val di Non e Val di Sole, Trento.
E. Chini 1987, L’arte nelle Giudicarie Esteriori, in A. Gorfer (a cura di), Le Giudicarie esteriori. Banale, Bleggio, Lomaso, I, Il territorio, Ponte Arche (Tn), pp. 3-101.
L. Dal Prà 2002, La cultura dell’immagine in Trentino. Il sacro, in L. Dal Prà, E. Chini, M. Botteri (a cura di), Le vie del Gotico. Il Trentino fra Trecento e Quattrocento, Trento, pp. 31-77.
C. Gnesotti 1786, Memorie per servire alla storia delle Giudicarie disposte secondo l’ordine de’ tempi, Con una breve Appendice delle Iscrizioni, (ristampa anastatica: Condino [Tn] 1973).
28/10/2015