Bologna: La strage dell’agosto 1980

Incontri e convegni

La Biblioteca Archivio del CSSEO, in collaborazione con la Biblioteca comunale di Levico Terme, La piccola libreria e la casa editrice Feltrinelli, organizza a Levico Terme, nella Sala consiliare del Comune di Levico (Via G. Marconi 8), venerdì 24 febbraio 2023, alle ore 20,30, l’incontro-dibattito “Bologna: La strage dell’agosto 1980”.

Marco Boato e Giuseppe Ferrandi discutono con Paolo Morando, autore de “La strage di Bologna. Bellini, i NAR, i mandanti e un perdono tradito” (Feltrinelli, 2023). Introduce Fernando Orlandi.

L'orologio della stazione ferroviaria di Bologna continua ad essere fermo alle 10.25, l’ora in cui nella sala d’aspetto della seconda classe esplose la bomba che il 2 agosto 1980 lasciò sotto le macerie dell’edificio 85 morti e 200 feriti.

Il più grave atto terroristico avvenuto in Italia dal secondo dopoguerra.

Le indagini furono complicate e anche oggetto di vari depistaggi. Inizialmente si attribuì l’esplosione a cause accidentali, allo scoppio di una vecchia caldaia istallata nei sotterranei dell’edificio. I rilievi ben presto fecero emergere ben altra realtà. Quelle vittime, gran parte turisti in viaggio, erano state investite da una esplosione di altro genere e le indagini si orientarono sulla pista del terrorismo, quello di estrema destra.

I depistaggi: accadde di tutto. In modo bizzarro l’obiettivo di uno di questi depistaggi venne individuato nel tentativo di proteggere il leader libico Gheddafi e la Libia, all’epoca rilevanti partner commerciali del nostro paese. Predisposto a tavolino fu poi il falso dell’operazione detta “Terrore sui treni”, organizzata da alcuni uomini del SISMI, che la magistratura determinò fondata su informazioni false, “una macchinazione sconvolgente che ha obiettivamente depistato le indagini”.

Nel 1991 un documento apocrifo cercò poi di attribuire la strage a Gladio: il testo, datato 19 maggio 1982, riferiva che l’esplosivo utilizzato proveniva da un deposito di Gladio, e recava le firme di Paolo Inzerilli (capo di stato maggiore del SISMI nel 1991) e dell’ammiraglio Fulvio Martini. Ma nel 1982 Martini non era ancora arrivato ai vertici del controspionaggio militare (era vicesegretario generale della Difesa), mentre Inzerilli non poteva firmare documenti in quanto direttore di divisione del SISMI.

Il processo di primo grado iniziò il 9 marzo 1987 e giunse a sentenza l’11 giugno 1988: quattro degli imputati, tra cui Valerio Fioravanti e Francesca Mambro furono condannati all’ergastolo per il delitto di strage. Il processo di appello si aprì 25 ottobre 1989 e con la sentenza del 18 luglio 1990 le condanne per strage divennero assoluzioni.

Il 12 febbraio 1992 le Sezioni unite penali della Corte di Cassazione stabilirono che il processo d’appello doveva essere rifatto: quella sentenza venne definita illogica e priva di fondamento, “tanto che in alcune parti i giudici hanno sostenuto tesi inverosimili che nemmeno la difesa aveva sostenuto”.

Quindi l’11 ottobre 1993 iniziò il secondo processo d’appello che giunse a sentenza il 16 maggio 1994. Tre furono le condanne all’ergastolo per il delitto di strage: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Sergio Picciafuoco.

Il 23 novembre 1995 la Corte di Cassazione confermòa la sentenza d’appello, tuttavia ordinando un nuovo processo per Picciafuoco, successivamente assolto dalla Corte d'assise di Firenze il 15 aprile 1997.

Con la sentenza definitiva del 1995 furono condannati all’ergastolo, quali esecutori dell’attentato, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Entrambi hanno ammesso e rivendicato molti altri reati e pure una decina di omicidi, ma si sono sempre dichiarati innocenti per la strage di Bologna. Sempre per la strage sono stati successivamente condannati all’ergastolo Luigi Ciavardini, con sentenza definitiva, e nel 2020 Gilberto Cavallini (nel suo caso il processo d’appello si aprirà ad aprile). Anche loro si sono sempre dichiarati innocenti.

Una nuova inchiesta della Procura generale della Repubblica di Bologna, frutto di una inusuale avocazione, ha poi portato a processo Paolo Bellini, che nell’aprile 2022 è stato condannato all’ergastolo. Bellini, ex Avanguardia Nazionale, è stato ritenuto esecutore della strage: avrebbe agito in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D'Amato e Mario Tedeschi, oltre agli imputati in precedenza già condannati. I coimputati deceduti, ovviamente, non potranno esercitare il legittimo diritto alla difesa. Una vicenda quantomeno problematica.

Il 2 agosto 1980 Anna Di Vittorio perse il fratello Mauro. In quei giorni conobbe Gian Carlo Calidori, poi divenuto suo marito, che nella strage aveva perso invece un amico. Una quindicina d’anni fa, dopo un lungo percorso di corrispondenza e conoscenza con Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, Anna e il marito scrissero la lettera di “perdono” che consentì a Mambro di ottenere la libertà. Poi però il fronte innocentista iniziò a sostenere che a trasportare la bomba, rimanendone vittima, era stato lo stesso Mauro Di Vittorio, vicino a Lotta Continua. All’ipotesi aderirono senza imbarazzi proprio Mambro e Fioravanti. La vicenda rientrò, anche per via giudiziaria, ma oggi permette a Paolo Morando di fare il punto sulla storia processuale e sulle novità emerse dalle sentenze su Gilberto Cavallini e Paolo Bellini, entrambi condannati in primo grado all’ergastolo.

Lo sfondo di quest’ultimo processo riguardava, infatti, per la prima volta, mandanti e organizzatori della strage. E passi per Gelli e Ortolani, ma sono rispuntati nomi che sembravano appartenere a una stagione precedente, come l’ex capo dell’Ufficio Affari riservati Federico Umberto D’Amato e il giornalista Mario Tedeschi, già senatore missino e direttore del “Borghese”.

Oggi la lettura della strage di Bologna è cambiata: non più l’opera di un gruppo di ragazzetti esaltati, i NAR, bensì un’operazione lungamente studiata, quanto in alto ancora non si sa, ma sicuramente organizzata e finanziata dalla P2, insieme a pezzi dello Stato e saldando le sigle della galassia dell’eversione nera. Tutto questo in una logica di continuità con gli anni Settanta: quell’aspra stagione della strategia della tensione che nell’agosto del 1980 l’Italia sembrava aver definitivamente archiviato, ma che – per chi ne reggeva i fili – non era invece affatto conclusa. 

Il nuovo lavoro di Paolo Morando viene presentato e discusso a Levico Terme.

L’incontro-dibattito si terrà nella Sala consiliare del Comune di Levico Terme (Via G. Marconi 6), alle ore 20,30.

Con l’autore discutono Marco Boato e Giuseppe Ferrandi. Introduce Fernando Orlandi.

 

Paolo Morando, giornalista, scrive per “il T”, il nuovo quotidiano di Trento, e per “Domani”. Ha collaborato anche con “Huffington Post”, “Internazionale”, e “L’Essenziale”. Scrive anche sulle riviste “il Mulino” e “Doppiozero” e sul blog “minima&moralia”. Ha contribuito al volume collettaneo “Uscire dalla Seconda Repubblica. Una scuola democratica per superare il trentennio di crisi della politica” (a cura di Mario Castagna, Carocci 2010) e pubblicato “La ricerca che aiuta le persone” (il Mulino 2021). Per Laterza è autore di “Dancing Days. 1978-1979. I due anni che hanno cambiato l’Italia” (2009), “’80. L’inizio della barbarie” (2016, finalista al Premio Estense), “Prima di Piazza Fontana. La prova generale” (2019, Premio Fiuggi Storia, sezione Anniversari), “Eugenio Cefis. Una storia italiana di potere e misteri” (2021, finalista al Premio Acqui Storia, Sezione divulgativa), e “L’ergastolano. La strage di Peteano e l’enigma Vinciguerra” (2022).

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