Il giardino dei ciliegi

Teatro

Stagione di Prosa di Bolzano 2011/2012
La Grande Prosa

Teatro Metastasio Stabile della Toscana - Teatro Stabile di Sardegna
Il giardino dei ciliegi
di Anton Cechov
traduzione Gerardo Guerrieri
regia Paolo Magelli
scene Lorenzo Banci
costumi Leo Kulas
musiche Arturo Annecchino
con Valentina Banci, Francesco Borchi, Corrado Giannetti, Elisa Cecilia Langone, Mauro Maliverno, Fabio Mascagni, Paolo Meloni, Maria Grazia Sughi, Luigi Tontoranelli

Un vero capolavoro: l’opera più lirica di Cechov

Un’enorme tenuta che sta per essere venduta all’asta, un frutteto che una volta all’anno, nel mese di maggio, si copre di fiori bianchi e diventa giardino, simbolo di rimpianti, speranze e sogni. Ogni anno il ciclo delle stagioni si compie e ogni anno il giardino ritorna giovane, ricomincia la sua vita. A contemplare questo miracolo per l’ultima volta, riuniti nella grande casa dell’infanzia, i personaggi del Giardino dei ciliegi di Anton Cechov non possono che scorgere ognuno nell’altro i segni del tempo che passa, il miracolo che su di loro non si compie, l’approssimarsi di una resa dei conti col proprio destino. L’ultima e la più lirica delle opere di Cechov, nacque tra il 1902 e il 1903 e venne rappresentata per la prima volta nel 1904. All’ombra degli alberi di questo giardino si compiono i destini dei protagonisti, che rispecchiano la crisi di una società, la decadenza di una classe e l’affermazione di un’altra, la trasformazione di mentalità e il delinearsi di un nuovo sistema di valori. Nel corso di una lunga estate al crepuscolo di un’epoca, si svolge una vicenda tutta costruita sull’alternanza fra immobilità e brividi forieri di cambiamento.
Un capolavoro assoluto in cui i temi dell’idealismo, della frustrazione e della “sofferenza del mutamento”, verranno riletti da Paolo Magelli, slavista, intellettuale cosmopolita e regista tra i più originali e riconosciuti del teatro europeo, che dirigerà le compagnie dei Teatri Stabili di Toscana e della Sardegna. La profonda conoscenza della cultura dell’Est, che lo ha portato a confrontarsi con i testi più importanti della letteratura slava, si traduce in un metodo che punta all’approfondimento del lavoro interpretativo e dell’affiatamento tra le due compagnie.
“Cechov ha scritto un “giardino di visciole” e non “giardino dei ciliegi” e la differenza non sta solo nel fiore (bello e fragilissimo), ma anche nel frutto, che è utilizzabile solo per un breve periodo.” afferma Magelli.
“L’allegoria della fragilità della vita, della sua inesorabile staticità abbarbicata in un mondo che tragicomicamente ci consente solo di avvizzire e cadere dal ramo dal quale siamo spuntati, il viaggio dalla bellezza alla deturpazione fisica e spirituale, la velocità con cui le nostre culture si perdono nella storia e nei suoi cambiamenti, sono temi che si ripetono senza fine in quest’opera. Cechov usa un’ironia cosmica e dolorosa che ci serve sulla scena -come in nessun altro testo- per costringerci a “riviaggiare” dentro la nostra vita.”