Il malato immaginario
Stagione di Prosa di Bolzano 2010/2011
La Grande Prosa
Teatro Stabile di Bolzano
Il malato immaginario
di Molière
traduzione Angelo Dallagiacoma
regia Marco Bernardi
scene Gisbert Jaekel
costumi Roberto Banci
luci Giovancosimo De Vittorio
con Paolo Bonacelli, Patrizia Milani, Carlo Simoni
L'ultima, esilarante commedia di un grande poeta del palcoscenico
La storia di Argante, malato immaginario del titolo, padre di una bella figlia, marito di una donna avida e fedifraga e vittima di uno sciame di dottori avvoltoi, salassatori e ciarlatani, fu rappresentata la prima volta il 10 febbraio 1673: una settimana prima della morte di Molière che si spense subito dopo la quarta recita. E' ritenuto uno dei capolavori assoluti del grande commediografo francese accanto al "Tartufo" ed al "Misantropo". Un testo e un personaggio, quello di Argante, con il quale si sono misurati registi ed attori importanti come De Lullo con Romolo Valli, la Shammah con Franco Parenti e Lassalle con Giulio Bosetti.
Ora a rileggere questa farsa in tre atti nei nostri tempi calamitosi ci pensa lo Stabile di Bolzano per l'interpretazione di Paolo Bonacelli nel ruolo dell'ipocondriaco mattatore che rasenta la follia, sospeso tra letto e bagno nella sua ovattata dimora trasformata in una sorta di ospedale. Al suo fianco come sempre i bravi Patrizia Milani e Carlo Simoni. Secondo il regista Marco Bernardi è quanto mai interessante riproporre una commedia colma di eccellenti spunti comici ma che al contempo ci racconta la storia di un uomo che ha smarrito nelle delusioni della vita la fiducia in se stesso e nei propri simili oltre alla stessa voglia di vivere.
Proprio la contrapposizione di questi due aspetti fa del Malato immaginario un'opera di straordinaria ricchezza e un lancinante documento della condizione interiore di Molière nel suo ultimo anno di vita. La storia satirico-farsesca dispiega anche un alone onirico. I personaggi e gli accadimenti si confondono fino a diventare i sogni del Malato. La commedia inizia, infatti, in tono tradizionale, in un colore comico, ma si trasforma poco a poco. Impercettibilmente evolve verso il tragico, ma questo tragico diventa grottesco e si ride sotto i baffi fino all'allucinazione, al delirio e alla morte.
La storia del malato immaginario che, probabilmente, ha più paura di vivere che di morire è il testamento che Molière ci lascia e lo fa da par suo, con gli intrighi di sempre, naufragato e nascosto nella beffa e nel riso, nel gioco di prestigio tra realtà e finzione, o meglio tra finzione e finzione della finzione, che è l'amara filosofia di tutto il suo teatro.