Incontri di Analisi e Composizione

Incontro con Gino Tanasini

Incontri e convegni

LE VOCI BIANCHE NELL’OPERA LIRICA

ovvero

Da angeli (o quasi) a monelli (veri)
Gino Tanasini

Si possono individuare due grandi ambiti nei quali collocare l’utilizzo (da parte di compositori e librettisti) delle voci bianche nell’opera lirica, sia che vengano impiegate in versione solistica sia quando
agiscono come compagine corale:

                                     quello della “spiritualità”                                           quello della “volgarità 

                        i cantori impersonano angeli, apparizioni,                     (nel senso latino del termine)

                                                   anime pure                                     i cantori impersonano appunto, il popolino

                                                                                                                 e quindi i mocciosi, i monelli

Non si tratta, però, di una semplice schematizzazione di comodo perché in effetti se i compositori, con i librettisti, scelgono un aspetto piuttosto che un altro, cambia un po’ anche il tipo di scrittura, di estensione di impasto fonico.

E’ pur vero, anche, che l’introduzione delle voci bianche nel melodramma sono un retaggio della grande stagione delle cappelle musicali ecclesiastiche rinascimentali e barocche nelle quali - per tradizione - i pueri cantores (spesso affiancati dagli evirati cantori) erano gli esecutori delle parti acute nel coro misto. Lo squillo della voce bambina educata alla severa scuola del contrappunto antico, costituiva anche il simbolo socio-culturale di “anima bella”: dunque voce cristallina come incarnazione fonica del concetto di purezza etica, integrità morale e quindi guida morale 

Ed è da questo “humus” che viene fatto il salto anche nel mondo del melodramma quando prende campo la vocalità del castrato

 All’interno di questa visione acquista ancora maggior evidenza il fatto che Il Flauto magico di Mozart (1791) sia il titolo più “antico” cui ci si imbatte se si ha a che fare con le voci bianche in teatro.

I Tre Geni (eco di spiritelli della tradizione popolare tedesca) sono l’emblema della rettitudine gioiosa: compaiono in tre riprese (due nel Primo e una nel Secondo atto) col compito di guidare, incoraggiare, spronare Tamino e Papageno nel loro difficile cammino di purificazione

Ancora alla sfera dell’ultraterreno afferisce la “vocalità bianca” degli spiriti celesti dell’ultima scena del IV atto del La Damnation de Faust di Berlioz (1845), il coro processionale in cattedrale nel IV atto del Le Prophète di Giacomo Meyerbeer (1849) e Il coro della Prima falange celeste del Prologo del Mefistofele di Arrigo Boito (1868)

 
Solo Giuseppe Verdi, nel Macbeth (1847) devia leggermente dal contesto angelico, per affidare nel III Atto (Gran Scena delle Apparizioni), a fanciulli la parte di due dei tre spiriti (“i più potenti”) che vaticineranno il sibillino destino di Macbeth.

LE VOCI BIANCHE NELL’OPERA LIRICA

ovvero

Da angeli (o quasi) a monelli (veri)
Gino Tanasini

E’ con i monelli di strada che scimmiottano la guarnigione militare al rientro dalla ronda nel I Atto della Carmen di Bizet (1874), che l’ambito popolare/quotidiano incomincia ad essere tratteggiato con elegante e fresca genuinità grazie alle pagine di questo amatissimo capolavoro di sapienza compositiva nel quale il raffinato stile francese si nasconde dentro i panni colorati di una ibericità solo apparente

Seguono, dopo pochi anni, i Mozzi “scoiattoli del mare” della Barcarola del II Atto di La Gioconda di Amilcare Ponchielli (1876)

 
Risuonano ancora cori angelici nel Parsifal di Wagner (1882) in una grande scena corale alla fine del I Atto che il suo autore reputa cruciale e scrigno di un importante leitmotiv: è l’Abebdhmahl, l’Agape, il “fraterno banchetto d’amore” in memoria dell’ultima cena

 Nel 1886 i “fanciulli” che - nell’Otello di Verdi (Atto II) intonano “T’offriamo il giglio” al passaggio di Desdemona, impersonano sì bambini veri, che però rappresentano la purezza, e cantano alla Madonna, in contrapposizione al coro di Donne e Marinai con tanto di mandola in scena 

Dalla Russia - nel 1892 - arriva la scintillante e sinuosa melodia del “Valzer dei Fiocchi di neve”, ne Lo Schiaccianoci di Cajkovskij (1892), dove il coro di voci bianche vocalizza a due voci in un numero che fa da passaggio - nella trama che balletto il balletto interpreta - al mondo del magico. Non è opera lirica, ma evidentemente il timbro infantile ispira, tanto che l’anno dopo Gustav Mahler nella sua Sinfonia n. 3 in re minore, introduce la presenza del coro di voci bianche al fianco di quello femminile

Ma sempre nel 1882 la compagine dei “monelli” si rafforza: sono il coro dei ragazzi (Paesani e contadini) che salutano festanti l’arrivo della compagnia circense attorno alla quale gravita la trama di Pagliacci scritta da Ruggero Leoncavallo.
Ancora bambini (in coro) nel Dramma lirico del 1893 di Jules Massenent dsu libretto di Blau, Werther: sono un forte elemento di contrasto con la drammatica vicenda: il coro inneggia sempre eccitato per l’imminente arrivo del Natale, anche nell’ultima scena quando, da dietro le quinte, cantano con gioia ignari del della morte del protagonista

Diverse opere di Puccini comprendono la presenza del coro di voci bianche, quasi sempre si tratta di “monelli” : La Bohème (1896) Tosca (1899) La Rondine (1916) Gianni Schicchi (1919) Turandot (1924) Di alcune saranno visionati, analizzati momenti e passaggi.
Scavalcando il ‘900 andranno poi citati L’Enfant et le sortilèges di Maurice Ravel (1925) e l’opera di Benjamin Britten (per ricordare i casi più celebri) senza dimenticare (seppur non “opera” ) i Carmina