Kind of Miles

Teatro
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Quanto vale un mito. Ma soprattutto cosa lascia. É difficile oggi individuarne di nuovi. I miti attuali nascono e muoiono con la stessa velocità del mondo contemporaneo, si accendono e si spengono come una cometa che passa o una stella cadente che lascia una scia luminosa e poi si spegne nel nulla. Mitico è qualcuno che fa qualcosa di speciale, che esce da un ordinario universalmente riconosciuto. Basta dunque un attimo per generarlo: un gesto, una parola amplificata da Internet o dalla televisione. Neanche più i giornali o i libri ma la rete del cotto e mangiato subito.

Sentito e dimenticato, in musica.

Uomini mitici senza memoria. Decretati da una storia recente che è passeggera, senza spina dorsale, mentre dovrebbe essere composta da un insieme di elementi che la rendono, in contemporanea, forte e flessibile. Forte per sopportare il peso della storia e flessibile per assorbirne i contraccolpi e i movimenti sussultori del tempo.

Concettualmente il mito nella storia è legato a un passato remoto che ha a che fare con la conoscenza e il linguaggio ancor prima che con il rito. Con il pathos e la poesia che scaturisce dall’anima e vaga in un Mediterraneo più vasto del nostro, laddove l’afflato del soffio e della voce ne amplifica le gesta rendendolo alla storia in uno sbalzo temporale che annulla le distanze e dilata il tempo.

É ciò che ha fatto Miles Davis nel Novecento. Un artista mitico per antonomasia.

L’ha fatto lasciando a noi del presente non solo un’icona, ma un soffio che è carezza e graffio. Un uomo capace di raccontare una storia recente che va aldilà del jazz e della musica e la cui personalità marcata appare prepotentemente non solo attraverso la sua tromba ma anche nel viso scavato degli ultimi anni, negli occhi profondi che inchiodano lo sguardo e nelle mani rugose che hanno toccato il cuore.

Mani scure che disegnano il pianeta attraverso un reticolo di linee che navigano tra gli oceani, tra l’Africa e il mondo.

 

MILES!
di e con Paolo Fresu, tromba, flicorno e multi-effetti
e con Bebo Ferra, chitarra elettrica
Dino Rubino, pianoforte e Fender Rhodes Electric Piano 
Marco Bardoscia contrabbasso
Stefano Bagnoli, batteria 
Filippo Vignato, trombone, multi-effetti elettronici, keyboard
Federico Malaman, basso elettrico 
Christian Meyer, batteria 
regia Andrea Bernard
video Marco Usuelli
produzione TEATRO STABILE DI BOLZANO

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