L’uomo che bruciava i cadaveri
Di Juraj Herz. Introduce Gianluigi Bozza
Dal Bruciacadaveri di Ladislav Fuks (Spalovač mrtvol), pubblicato nel 1967 (nuova traduzione di Alessandro De Vito, Miraggi, 2019), l’anno successivo il regista Juraj Herz trasse il film L’uomo che bruciava i cadaveri, sceneggiato a quattro mani da Fuks e Herz.
Come scrittore Fuks (1923-1994) esordì nel 1963 con Pan Theodor Mundstock (Il signor Theodor Mundstock, Einaudi, 1997): l’ex procuratore della ditta “Manache Lowy. Canapa, corde e fili”, il signor Mundstock è uno spaurito ebreo praghese costretto dalle leggi razziali a spazzare le vie cittadine in attesa della convocazione per il campo di concentramento. Narrando gli ultimi mesi dell’esistenza di Mundstock, pavido e sensibile antieroe, lo scrittore spalanca la porta sulla dimensione metafisica della paura, descritta in crescendo, come una fuga d’organo.
Il regista slovacco Juraj Herz (1934-2018) nacque in una famiglia ebraica che, come molte altre di Kežmarok, si battezzò per sfuggire alla deportazione. Ripararono nel villaggio di Eisdorf (oggi Žakovce), dove furono aiutati dai locali abitanti tedeschi. Rassicurati dalla conversione e da notizie ricevute, fecero ritorno alla casa natale di Kežmarok, dove invece vennero arrestati dalla Guardia di Hlinka e deportati nel lager di Ravensbrück. Sopravvissero.
Herz studiò fotografia alla Scuola di arte applicata di Bratislava e poi regia e teatro delle marionette all’Accademia di arti dello spettacolo di Praga, frequentando i corsi assieme a Jan Švankmajer, con il quale aveva già collaborato al Teatro Semafor di Praga. Il regista Zbyňek Brynych si accorse del suo grande interesse per il cinema e gli offrì un posto di aiuto regista; sempre come aiuto regista poi lavorò con Ján Kadár, che lo aiutò a fargli girare il suo primo film.
Ritratto inquietante della banalità del male, L’uomo che bruciava i cadaveri di Herz è spesso citato come uno dei migliori film horror cechi ma soprattutto, capolavoro di atmosfera, è uno dei migliori film cechi, un punto di riferimento della Nová vlna, la nouvelle vague ceca.
Karel Kopfrkingl lavora al crematorio del cimitero di Praga. Ama la musica, la famiglia, e sostiene di essere molto sensibile. Tipico esempio di uomo perbene piccolo borghese, Karel è fervente seguace delle teorie del Dalai Lama sulla reincarnazione e col suo lavoro è convinto di accelerare i tempi per la liberazione delle anime dai corpi dei defunti: staccate dal corpo diventato polvere, le anime possono viaggiare nell’etere per poi reincarnarsi in altro.
Kopfrkingl sembra essere solo un uomo bizzarro, eccentrico, affascinato dal Libro tibetano dei Morti. Ben presto, però, lo vediamo sprofondare sempre più in profondità nella follia.
Incontra Walter Reinke, un vecchio amico che aveva combattuto con lui nell’esercito austro-ungarico durante la Grande guerra, e che lo recluta. Le modalità del tutto casuali con cui Kopfrkingl diventa un collaboratore nazista sono agghiaccianti; non sembra preoccuparsi delle sue azioni, informando casualmente sui suoi amici ebrei senza nemmeno considerare le implicazioni. Si perde in un continuo fanatismo per il Partito che lo porta alla follia.
Denunciando ebrei e dissidenti veri o presunti, accresce la sua posizione sociale. Non ci pensa nemmeno due volte a sopprimere la famiglia che tanto amava quando viene informato del loro sangue impuro. Mite e innocente in apparenza, Kopfrkingl è l’incarnazione della “banalità del male” di Hannah Arendt
Ingresso gratuito
In ottemperanza alle normative vigenti, per la partecipazione agli incontri è necessaria la prenotazione, inviando una mail all’indirizzo info@ba-csseo.org e indicando il proprio nome e cognome e numero di cellulare. I partecipanti all'incontro dovranno possedere il Green Pass.