Sole d'autunno. Il capolavoro ritrovato

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progetto espositivo a cura di Niccolò D’Agati

Esposto per l’ultima volta nel 1954, Sole d’autunno, presentato da Segantini per la prima volta in occasione dell’Esposizione Nazionale di Venezia del 1887, rappresenta uno degli esiti più sperimentali della pittura segantiniana all’avvio della sua permanenza nel cantone dei Grigioni presso Savognin. Da leggere in continuità con i risultati raggiunti nell’opera estrema della Brianza, Alla Stanga (1885-1886, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), la tela viene elaborata dal pittore nel momento in cui – complice la riflessione stimolata da Vittore Grubicy – sperimenta nell’Ave Maria a trasbordo una prima istintuale e non sistematica applicazione della stesura divisionista. I primi anni grigionesi costituiscono, indubbiamente, un momento di grande riflessione tecnica e linguistica da parte di Segantini che nelle opere di questi anni approfondisce, in maniera cosciente, tanto la ricerca di una solidità costruttiva della pennellata quanto, e in conseguenza, di una sempre più insistita evidenza in termini di luce e tono del colore studiato dal vero. L’opera si impone, alla sua diretta osservazione, per una estrema articolazione della superficie pittorica segnata dall’evidenziazione materica della pennellata ora più corposa ora più allungata. La tela è basata sulle sottili variazioni cromatiche restituite grazie ad un uso estremamente attento dei colori liberati dalla convenzionalità crepuscolare della maniera scura degli anni briantei e, adesso, volti alla più attenta restituzione dei valori cromatico-luministici – con un libero uso di stesure ad impasto e a colori puri – studiati sul vero quale portato di una riflessione sul valore della luce come elemento sostanziale e strutturante l’opera.

Segantini stesso, ripercorrendo nel 1898 le tappe della propria ricerca in una lettera al critico e suo estimatore Tumiati, poneva il dipinto quale primo momento del percorso che definiva la sua nuova maniera: «Con questo intermezzo iniziai il secondo periodo passando nelle Alpi dei Grigioni a Savognin. Qui la mia arte prese quel carattere che ancora conserva. Quel misterioso divisionismo dei colori che voi vedete nell’opera mia, non e che naturale ricerca della luce. Qui il mio spirito si riempiva d’una grande gioia, gli occhi si estasiavano nell’azzurro del cielo, nel verde tenero dei pascoli e guardavo le superbe catene dei monti colla speranza di conquistarle. Incominciando a tener calcolo del colore come bellezza armonica, presi a studiare quadri d’animali, essendo il paese molto dedito alla pastorizia, e composi i quadri seguenti: L’autunno (vacca bianca) […]» (B. Segantini, Scritti e lettere di G. Segantini, Bocca, Torino 1910, p. 104).

In occasione dell’acquisizione dell’opera Sole d’autunno, la Galleria Civica Giovanni Segantini di Arco intende presentare al pubblico il capolavoro segantiniano nella cornice di un nuovo allestimento che ne valorizzi la centralità nel percorso della ricerca pittorica del pittore arcense e il ruolo fondamentale di passaggio nell’evoluzione della sperimentazione segantiniana tra gli anni briantei e l’aprirsi della fase più intensa della sua attività dopo il trasferimento nei Grigioni, quando un rinnovato senso del colore e della luce si impone quale nucleo fondante di una nuova concezione estetica.

In questa cornice, nell’occasione del centoventicinquesimo dell’anniversario della scomparsa di Segantini, la Galleria intende dedicare un focus centrato sull’ininterrotto legame che la città di Arco da sempre mantenne vivo con la memoria del pittore, a partire dalla commissione del monumento a Leonardo Bistolfi, e che si rinnova, oggi, con l’acquisto di un’opera finalmente restituita alla collettività e visibile dopo settant’anni dall’ultima esposizione.