Tito. Despota o ribelle?
La Biblioteca Archivio del CSSEO organizza a Trento, mercoledì 17 giugno, alle ore 17,30, nella “Sala degli Affreschi” della Biblioteca comunale (Via Roma 55), l’incontro-dibattito “Tito. Despota o ribelle?”.
Fernando Orlandi discute con Jože Pirjevec, autore di “Tito e i suoi compagni” (Einaudi, 2015). Introduce Massimo Libardi.
Il 4 maggio del 1980 moriva Josip Broz Tito. Con lui moriva la Jugoslavia che aveva costruito. Alla surreale agonia seguì un faraonico funerale. Alla sua sepoltura fece seguito l’inizio dell’agonia del suo paese che esplose nelle fratricide guerre civili degli anni successivi.
Tito è stato uno dei protagonisti della storia del Novecento e del movimento comunista internazionale. Guidò il movimento partigiano e comunista contro i nazisti nella Seconda guerra mondiale. Si scontrò con Stalin nel 1948 e la Jugoslavia venne scomunicata. Con Nikita Khrushchev si riappacificò con Mosca e per il timore di un contagio rivoluzionario non disdegno l’invasione sovietica dell’Ungheria. Ebbe un ruolo di primo piano nel movimento dei Paesi non allineati. Nella sua Jugoslavia tentò anche di costruire un modello socialista alternativo a quello di Mosca.
Ma chi era Tito?
Oggetto di caricatura dopo lo sfacelo della Jugoslavia, Tito è una figura di estrema complessità e di grande interesse storico. La casa editrice Einaudi ha da poco pubblicato “Tito e i suoi compagni”, imponente lavoro dello storico Jože Pirjevec. Non è solo una biografia di Tito e del suo apparato di potere. È anche una storia dei suoi sodali nella dirigenza del comunismo jugoslavo e una storia della Jugoslavia.
Despota o ribelle?
Nonostante trentacinque anni di dittatura, non si può considerare Tito come un tiranno alla stregua di Stalin: al contrario, proprio perché si era ribellato al terrore staliniano, istituendo in Jugoslavia un socialismo “autogestito” dal volto umano, Tito è rimasto nella memoria di molti suoi “sudditi” come un uomo a cui essere in qualche modo grati.
La Jugoslavia che lasciò alla sua morte era decisamente diversa da quella del 1945: era passata dal regime centralizzato staliniano al “socialismo di mercato”, conoscendo una rapida industrializzazione, grazie alla quale la popolazione godette di una costante crescita della qualità della vita, anche se dovuta in gran parte ad aiuti esterni.
Per quanto il potere fosse nelle mani del Partito, il sistema autogestito permetteva ai cittadini di esercitare qualche influenza sulla vita politica. L’opposizione era proibita, ma la vita intellettuale non era soggetta a censura preventiva e le frontiere erano davvero aperte al passaggio delle persone e delle idee.
Non va però ignorato il fallimento del regime di Tito, incapace di conservarsi senza la sua forza di coesione, e di svilupparsi in una democrazia moderna e pluralista.
Utilizzando un quantitativo imponente di documenti d’archivio e consultando una sterminata bibliografia, Jože Pirjevec mette a fuoco un ritratto straordinario di Tito, da quando cominciò a far parlare di sé, nel 1928, durante il processo a Zagabria che gli costò una pesante pena detentiva in quanto comunista fino alla sua morte, a 88 anni.
Gli ultimi anni di vita furono amari non solo per i malanni della vecchiaia e la solitudine, ma anche per le difficoltà economiche e politiche in cui stava entrando la sua Jugoslavia. Tito era molto preoccupato. Già alla fine del 1971, riferisce Pirjevec, Tito disse a dei suoi collaboratori: “Se voi sapeste come vedo il futuro della Jugoslavia, rimarreste inorriditi”. Fu profetico: esattamente vent’anni dopo, si manifestò nella distruzione di Vukovar tutto l’orrore dello sfacelo della Jugoslavia.
Di Tito e del lavoro Jože Pirjevec se ne discute a Trento, mercoledì17 giugno alle 17,30, nella “Sala degli affreschi” della Biblioteca comunale (Via Roma 55), nell’incontro-dibattito “Tito. Despota o ribelle?”:
Fernando Orlandi dialoga con Jože Pirjevec. Introduce Massimo Libardi.
organizzazione: Biblioteca Archivio del CSSEO