Viaggio attraverso Brancati con Anna Proclemer
Viaggio attraverso Brancati
letture di Anna Proclemer
con la partecipazione di Antonia Brancati
MIO PADRE
Mi chiedono spesso se ho dei ricordi di mio padre, come se il passare degli anni e la mia giovane età al tempo della sua morte potessero essere gli equivalenti delle acque del Lete, in grado, secondo gli antichi, di cancellare ricordi ed esperienze, una consummation devoutly to be wished (per dirla con Amleto) solo per chi desideri vivere esclusivamente in un presente reso meraviglioso dall'ignoranza. No, grazie, lasciatemi i miei ricordi e i miei malumori.
Il ricordo più vivo che io ho di mio padre è la sua presenza, la sua presenza amorosa e materna - e la presenza è difficile da raccontare. La presenza è come la felicità: non ha storia. Lui c'era. Io ero felice. In realtà non ci sarebbe molto altro da dire.
La memoria, quella che si può raccontare è fatta di attimi fuggenti, presi al volo, e riposti nel carniere della propria esperienza. Alcuni sono rimpianti. Eccone uno: avrò avuto circa sei anni. Eravamo nella casa nuova di via Fleming - che si chiamava allora via Tor di Quinto - io ero nella mia cameretta che dava sul fiume, e Pino (così chiamavo mio padre, non come abbreviazione di ˝papino˝, ma come l'albero: il pino mediterraneo dal tronco spesso e fessurato e dall'ampia chioma sempreverde) entrò con in mano un giornale con un titolo a tutta pagina: ˝La Governante proibita!˝. ˝Guarda!˝, mi disse, col volto tirato. A me pareva un titolo buffissimo, come se avessero voluto proibire la signorina Luisa, mia governante dell'epoca - e mi misi a ridere. Lui ci rimase male - e io capii che c'era qualcosa che non avevo capito. Ero in grado di deludere, ma non di consolare.
So che la gente si chiede in quale rapporto una bambina si pone nei confronti del proprio padre, quando questi è un importante scrittore, un intellettuale, uno studioso - ˝Che effetto fa aver avuto un padre così importante?˝, mi chiedono. Ed è un po' come chiedere ad uno degli anatroccoli di Konrad Lorenz quale sia la sua opinione su quello scienziato dall'occhio mite dall'intelligenza vivace ed acuta che era tuttavia abbastanza folle da mettersi a camminare ginocchioni per il giardino facendo da guida a lui e ad una fila di suoi pennuti fratelli. Se potesse rispondere, l'anatroccolo direbbe: non so niente io, di scienza - quel signore era quello che tentava di farmi diventare un'anatra.
E nel mio caso, qual'era la mia opinione su quel signore che faceva il mestiere privilegiato dello scrittore, che passava ore davanti a un libro o ad un foglio di carta bianco da riempire, la cui parola era rispettata e spesso, da alcuni, anche temuta - visti gli scontri continui che ebbe con tutte le censure - quel signore che vestiva all'inglese, con dei bellissimi principe di Galles e spesso anche con la bombetta in testa - e che era tuttavia capace di abbandonare la sua compostezza per percorrere con me - mano nella mano, un tratto di strada a salti alti da impala (i saltini A della mia maestra di ballo, la Raja Garosci)? Cosa posso rispondere? Era colui che tentava di fare di me un essere umano.
Antonia Brancati
Programma di Sala a Trento
di VIAGGIO attraverso BRANCATI
A Trento sono nata. In via Brigata Acqui. Di fronte alla nostra casa cera una caserma (forse cè ancora, non so). Mia madre, bolognese e un po mitomane, favoleggiava che quando io nacqui la banda della caserma attaccò una marcetta trionfale. Una bizzarra leggenda familiare che ha accompagnato la mia infanzia.
Così come lhanno accompagnata gli struggenti profumi che impregnavano il negozio di salumeria del fratello di mio padre, lo zio Adolfo, in via del Suffragio, 3. A quel tempo non esisteva scatolame o cibo sotto vuoto. Ricordo i prosciutti che pendevano dal soffitto, i sacchi di juta arrotolata con caffé, fagioli, farina da polenta, uva passa
.e sul banco i formaggi e dei grandi recipienti di latta con fregi oro e rosso, con la conserva di pomodoro.
Ricordo esattamente, avrò avuto poco più di un anno, il primo passo che feci nel mondo staccandomi dalla mano di mia madre. Eravamo nel giardino sotto la statua di Dante. Cerano delle bellissime panchine verde scuro con braccioli neri in ferro battuto, ricchi di foglie e volute. Fu lì che dopo quei primi pochi passi da sola appoggiai la mano per sorreggermi.
Nel terribile inverno del 42-43 venni a Trento con la Compagnia di Anton Giulio Bragaglia. Freddo, oscuramento e parecchia fame. Era il mio primo anno darte. Ero molto giovane, inesperta e piena di entusiasmo. Dopo qualche recita qui, andammo a Bolzano. Il giorno dopo il nostro debutto una bomba centrò in pieno il teatro.
Tornai a Trento nel 1957 con La figlia di Jorio di DAnnunzio. Trovai la città tappezzata di manifesti : Trento dà il benvenuto all illustre concittadina. A me fecero un grande piacere. Ai miei compagni attori un po meno. Mi sfotterono per mesi. Come stai, illustre concittadina? Senti un po, illustre concittadina
.. La gente di teatro, se ci si mette, sa essere molto sarcastica e perfino crudele.
Tornai, negli anni, sul palcoscenico del Teatro Sociale e al Centro S. Chiara con tanti miei spettacoli. E perfino per una puntata di Campanile Sera accanto al grande mezzosoprano Gianna Pederzini, trentina anche lei (di Avio).
Ho avuto lonore di inaugurare il Teatro Sociale magnificamente ristrutturato e gli spettacolosi scavi della vecchia Tridentum .
Ho parlato così a lungo delle mie tappe artistiche a Trento perché volevo farvi sentire come questa città, che con la mia famiglia ho lasciato da bambina, mi sia rimasta nel cuore e sia parte imprescindibile del mio essere, del mio carattere, dei miei umori.
E come si inserisce Brancati in tutto questo, chiederete. Vitaliano Brancati, nato in Sicilia nel 1907, profondamente legato alla sua terra, ai suoi colori, agli odori, alle luci della sua isola.
Si innamorò di me nel 1942, al Teatro dellUniversità di Roma, dove si rappresentava un suo atto unico, Le trombe di Eustachio. Io non corrisposi subito al suo sentimento (un po lenta, la trentina!) e ci sposammo a Roma nel 1946. Nel 47 nasceva Antonia.
Vitaliano amava tutto di me, e con la sua mostruosa intelligenza e sensibilità aveva decifrato a fondo le mie componenti nordiche, trentine montanare. Le aveva capite e, in qualche modo, le aveva fatte sue. Dopo il matrimonio passammo ogni estate qualche mese nelle montagne del Trentino. La sua rapita ammirazione per il paesaggio nordico, i boschi, i piccoli laghi, i ghiacciai, gli inverosimili tramonti era per me motivo di profonda tenerezza.
Il 24 Luglio scorso, a Catania, Antonia ed io abbiamo celebrato con la lettura di questo Viaggio attraverso Brancati il centenario della sua nascita. Siamo ancora, seppure agli sgoccioli, nel 2007. Siamo ancora nel centenario.
Mi è caro chiudere questo anno con una lettura brancatiana qui a Trento, città che io amo perché è mia, e che Brancati amava perché, attraverso me, se ne era innamorato anche lui.
organizzazione: Centro Servizi Culturali S. Chiara