Visite guidate ai luoghi sacri e storici del paese

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Visite guidate ai luoghi sacri e storici del paese accompagnati da S. Ferrari

Quasi cinquecento anni fa, nel 1568, una pestilenza colpì il bestiame e mise in ginocchio la comunità di Peio che reagì facendo un voto a san Rocco. Promise di donare alla chiesa dedicata al santo la caserada prodotta in malga il 16 agosto e di festeggiarlo in eterno. L'antica invocazione è rimasta: ancora oggi durante la sagra del paese la statua della Madonna è ponata in processione e i bambini sono abbigliati come angeli. La chiesa dedicata a san Rocco si erge su un colle a nord-ovest del paese. È un complesso affiancato da un cimitero austriaco risalente alla Prima guerra mondiale e da un preistorico masso a coppelle la cui ipotetica e antica fruizione è attribuita a rituali come il culto del fuoco di radice nordica. Simili testimonianze sono state rinvenute anche altrove: in località Seroden ci sono il Sass dele Strie (Sasso delle Streghe) e, sopra Celentino, il Sass del Bèch. Quest'ultimo forma un ampio scivolo alla cui sommità si contano trenta coppelle di varie dimensioni e profondità. Sono cavità tondeggianti o "a lente", alcune internamente levigate e ben rifinite. Si racconta che in tempi preistorici il masso era considerato un sito propizio per la fertilità, sul quale le donne si lasciavano scivolare invocando l'aiuto degli spiriti. In seguito, taluni abitanti della Valéta lo hanno nominato con la definizione più pratica di "sasso sbrega braghe" giacché i fanciulli si strappano facilmente i calzoni divertendosi a percorrerlo seduti. Si può raggiungerlo partendo dalla porta del sentiero etnografico UNUM -Lavorare Insieme per Narrare gli Usi della Montagna - dal nome dell'associazione che l'ha realizzato, lungo un anello di circa cinque chilometri che inizia dalla frazione di Strombiano.
Il prologo del sentiero è casa Grazioli, un prezioso - e probabilmente unico nel suo genere - edificio che sorge dirimpetto alla cappella di Sant'Antonio da Padova, a Strombiano. Malgrado il nome sembri definire una residenza signorile, casa Grazioli è in realtà una semplice casa contadina che conserva in ogni singolo anfratto una storia straordinaria stratificata dai secoli e mostra, come in un susseguirsi di nuovi scenari su un palcoscenico, i vari passaggi dell'evoluzione delle case contadine.
Ciò è stato possibile sostanzialmente per due ragioni: perché chi ci abitava era talmente povero da non poter apportare migliorie e perché il Comune, che l'ha acquistata nel 1998, e l'associazione LINUM hanno operato di concento per mantenere intatto nella sua autenticità secolare un edificio che ora assume un valore museale inestimabile. Le migliorie sostanziali operate riguardano l'imbiancatura esterna dell'edificio e il tetto, ricostruito con otto mila scandole di larice come era in origine. Mentre la disposizione interna dei quattro piani e il contenuto sono rimasti pressoché immutati malgrado il trascorrere dei secoli, e oggi costituiscono un patrimonio storico importante. Ci sono stanze secolari che dispongono ancora del focolare aperto, dei tronchi per appendere la carne e gli insaccati ad affumicare, del forno in pietra dove veniva cotto il pane di segale, el ftren dei paneti, riconoscibile per il caratteristico rigonfiamento che produce sulla parete. La sommità del rigonfiamento serviva come giaciglio caldo per i bambini nelle fredde notti invernali. Diverse pareti di casa Grazioli sono nere per la fuliggine, con piccole finestre (tòrele) che collegano una stanza all'altra. L'ultima proprietaria di questa casa si chiamava Domenica Maria Grazioli, soprannominata la Béga. Visse povera e morì povera a novant'anni, ottanta dei quali trascorsi tra queste mura.

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