La profezia delle ranocchie

di Jacques-Rémy Girerd

Una collina. Alta alta. Quasi ai confini del mondo, lontana lontana da tutto.

Un grazioso casolare. Un granaio imponente. Una famiglia.

Ferdinand, marinaio in pensione che si dedica ai lavori agresti, la moglie Juliette, originaria dell'Africa che porta la magia, con scarsi successi, fuori dall’Uganda, e il piccolo Tom di dieci anni, il figlio adottivo. E poi c’è Lili, la figlia dei vicini, i Lamotte, che sono partiti per un safari alla ricerca di coccodrilli per il loro piccolo zoo familiare e hanno lasciato la figlia a Ferdinand e Juliette.

Insomma un possibile ritratto di vita quotidiana. Ma in questa storia nulla è conforme alla norma e nulla è famigliare.

Prima di tutto, ci sono ranocchie parlanti che in qualità di esperte meteorologhe avvertono Tom e Lili dell’arrivo di un diluvio: a partire dalla notte di luna piena per 40 giorni e 40 notti ci saranno piogge ininterrotte. In secondo luogo, Ferdinand che con l'aiuto di un enorme pneumatico trasforma la sua sperduta fattoria in una moderna Arca di Noè. Terzo, nell’Arca tutto sembra regnare nella piena tranquillità ma gli esseri viventi si sa fanno fatica a vivere tutti insieme appassionatamente! Ed qui ci casca l’asino. È qui che il registra mette in gioco la sua arte: nella difficoltà – impossibilità – degli esseri viventi di convivere armoniosamente.

La profezia delle ranocchie è il primo lungometraggio realizzato nel 2003 dal regista francese Jacques-Rémy Girerd che riprende uno schema conosciuto, quello della favola nella quale si muovono animali parlanti, con vizi e virtù umane e umani pronti a condividere con loro sacrifici e pene. Girerd aggiunge una rivisitazione del mito del Diluvio universale e dell’Arca di Noè mantenendo la narrazione sempre sui toni della commedia e dell’umorismo. "L'agnello trema davanti al lupo, se il gatto caccia il topo è cupo, davanti al rettile il rospo geme, non è poi facile vivere insieme! Ma oggi tutto dovrà cambiare oppure la vita sarà infernale, su questa barca si camperà, di sol patate si mangerà" canta Ferdinand, mettendo in suono la tematica principale del film: l'intolleranza tra i popoli e le specie viventi che affligge il mondo da quando esiste la razza umana sul pianeta Terra.

La profezia delle ranocchie è una favola sociale, agrodolce, che pone l’accento sull’indice di sopportabilità tra esseri viventi: come e quanto è difficile vivere insieme? È una narrazione capace di rievocare con tocchi di umorismo, ilarità, tenerezza e delicatezza l’immagine di un mondo che può essere vivamente crudele per coloro che vogliono approfittare della situazione prendendone il dominio, ma che promette anche una visione d’amicizia e d’amore nella quale persone di culture e usanze differenti si incontrano. A bordo dell’improvvisata Arca di Ferdinand le insofferenze sono molte, le ingiustizie ancora di più e la sceneggiatura propone di accettare sia le differenze sia le difficoltà del vivere insieme, per sciogliere i nodi sociali e personali e ricercare nuovi equilibri umani. Il fine moraleggiante è forse troppo palese: il netto rifiuto delle dittature e di ogni forma di violenza, la comprensione e il perdono altrui, la salvaguardia delle persone care. Tutto giusto, ma detto in modo un po’ troppo didascalico da far sentire l’assenza di un’analisi più approfondita dei sentimenti e delle situazioni emozionali.

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Fin da questo primo film, si ritrova anche il sentiero riflessivo che accompagnerà la produzione cinematografica del regista francese: quello naturalista che poi in Mià e il Migù del 2008 o in Tante Hilda del 2014 diventerà ambientalista. Il pianeta che viviamo non ha smesso mai di evolversi, oscillando tra equilibrio e instabilità. Instabilità nella quale l’uomo ha un ruolo da protagonista apportando cambiamenti e stravolgimenti irreparabili. Nella Profezia delle ranocchie, questo tema è solo sfiorato attraverso l’amore per gli esseri viventi che emerge in quasi tutti i personaggi della storia, la cura verso la loro esistenza, uguale a quella posta per gli umani.

Dal punto di vista registico, il lungometraggio animato offre una serie di sequenze iniziali nelle quali i due mondi, quello degli esseri umani e quello delle ranocchie, appaiono completamente distinti. Ad un certo punto la narrazione si trasforma in favola e le rane verdi incominciano a parlare con i due bambini che comprendono la situazione ma non hanno strumenti per modificarla. Ecco allora il vento, la pioggia, la bufera, la tempesta con le onde del mare che si muovono, anzi danzano, su una musica appositamente composta da Serge Besset e interpretata dalla Bulgarian Symphony Orchestra. La colonna sonora la fa da maestra: il doppiaggio italiano rivela malizia e capacità con un elefante e la sua compagna che hanno la voce di Ricky Tognazzi e Simona Izzo, la tartaruga cattiva con quella di Anna Marchesini, il ‘nonno’ Ferdinad con un profondo Sergio Fiorentini. I dialoghi sono limpidi, chiari, a volte serrati, senza presentare doppie letture per gli adulti se non la voglia comune di interrogarci sulla difficoltà del vivere insieme. E forse proprio oggi che questo ‘insieme’ si colora di risvolti poco sognati, potremmo evocarne significati più profondi di quelli che il registra intendeva porre.

Non si può non parlare deI segno grafico offerto all’animazione dal disegnatore ucraino Iuri Tcherenkov che attraverso una tavolozza di colori vivaci, mai troppo accesi, evidenzia la linea semplice dei contorni, una visione minimale delle figure e delle ambientazioni, capace nella sua semplicità di colorare con effetti giusti l’andamento della narrazione. La sua opera visiva, realizzata con l’aiuto della sua compagna Zoïa Trofimova, è gioiosamente melanconica e i personaggi hanno un’umanità prorompente che si allontana quel poco dal realismo per cogliere la poesia e la magia dell’esistenza. Come non sentirsi dei maghi provetti quando Juliette prova le sue cerimonie propiziatorie e come non esserne delusi, al pari dei personaggi, quando non hanno l’esito sperato.

I bambini pieni di domande e curiosi al punto giusto, Juliette compagna e madre in maniera delicata, Ferdinand ‘nonno’, padre e capitano d’altri tempi, la tartaruga mascherata da amica fedele, gli animali che si fanno ingannare e quelli che provano paura e continuano a seguire il branco. Tutte le figure dell’animazione sono tratteggiate individualmente non solo dal segno grafico ma anche dalle voci. Ecco gli ingredienti del registra Jacques-Rémy Girerd: la capacità di unire tutte le parti in un insieme armonico.

redazone
parte di: ANIMA

11/03/2021