FOLLE_coppia stereoscopica

Se amore guarda

“Abbiamo forse smarrito la ragione profonda per cui davvero ci interessiamo al patrimonio culturale e alla storia dell’arte: la forza di liberazione con cui apre i nostri occhi e il nostro cuore a una dimensione «altra». Il suo latente, ma fortissimo, conflitto col tempo presente, con il mondo com’è oggi. La sua capacità di separarci dal flusso ininterrotto delle cose che passano, per metterci in contatto con ciò che sta in fondo a nostro cuore, ciò che ci lega davvero ala vita, ciò che le dà senso”.

Tomaso Montanari

Se amore guarda. Un’educazione sentimentale al patrimonio culturale Einaudi, 2023, p. VI

Iniziare questa rubrica con le parole dello storico dell’arte Tomaso Montanari nel libro Se amore guarda. Un’educazione sentimentale al patrimonio culturale edito per Einaudi, traccia un percorso di senso: l’intenzione di guardare al patrimonio culturale dell’umanità certamente con uno sguardo curioso e critico ma anche mettendo in gioco le proprie emozioni per vedere e contemporaneamente per sentire, per “riattivare la connessione con la parte più intima della nostra anima individuale e collettiva” (Ivi, p.VI) e ‘avvertire’ il senso profondo sotteso al concetto di patrimonio culturale: ogni volta che vi entriamo in contatto “riattribuiamo significato alle cose, ai luoghi fino a sentirli parte della nostra esistenza, quali estensioni del nostro corpo” (Ivi, p. 98). Il patrimonio culturale “è uno spazio che è anche un tempo: un ‘altro’ tempo, incuneato in quello che chiamiamo presente, ma a esso sottratto, rubato […] ogni frammento di ciò che chiamiamo patrimonio culturale testimonia, con la forza della materia, che un tempo ‘altro’ è davvero esistito. E che il nostro presente, che tutto divora e che tutto comanda, non è dunque un assoluto: è solo uno dei tanti presenti” (ivi, p. 4-5).

Il progetto Coppia stereoscopica. Trento. Cent’anni o quasi nello sguardo di Sergio Perdomi e Luca Chistè coglie proprio questi ‘tempi presenti’ nel loro farsi storia: il fotografo della Venezia Tridentina che immortalando, per il Soprintendente di Trento Giuseppe Gerola, il patrimonio culturale locale tra gli anni Venti e metà degli anni Trenta del XX secolo cattura con i suoi scatti una città che si trasforma, si allarga, che trova e organizza nuovi spazi di vita e di socialità. Uno spazio urbano ancora in bilico tra un passato contadino e un futuro che si presenta con istanze di movimento, di velocità, di industrializzazione pronunciata, di nuova edificazione popolare e borghese. Luca Chistè nel 2023 ne ripercorre i passi, giustapponendo il suo sguardo a quello di Sergio Perdomi, facendosi toccare nel profondo, perché “quel tempo ‘altro’ vive dentro il nostro tempo, quel mondo ‘altro’ è parte integrante del mondo che viviamo: non c’è un salto dimensionale, c’è una continuità” (Ivi, p. 4).

Proprio con questa continuità si intende inaugurare la rubrica “Coppia stereoscopica” che fa dialogare fotografia storica e contemporanea con la dimensione della testualità scritta. Da una parte un dittico che propone il punto di vista di Sergio Perdomi e Luca Chistè sulla città di Trento, dall’altra un libro. Da un lato, in questo primo approfondimento, uno scorcio di Viale Rovereto che immette nelle nuove aree urbane che stavano nascendo oltre il torrente Fersina e dall’altra Se amore guarda. Un’educazione sentimentale al patrimonio culturale di Tomaso Montanari che affronta molte delle questioni che attualmente girano intorno al concetto di patrimonio culturale mettendo in evidenzia come questo sia “un luogo dove impariamo la fragilità e la limitatezza, la provvisorietà e la contraddizione” (Ivi, p. 79); per questo motivo la parola ‘educazione’ diventa centrale, “un’educazione sentimentale al patrimonio culturale è un’educazione a camminare a passo d’uomo” (Ivi, p. 84), “cosa altro è, se non un’educazione a diventare, e a rimanere umani? «Staccarsi dal presente»: non è esattamente questo che facciamo, quando «entriamo» nel patrimonio? Staccarsi dal presente non per evasione, o disimpegno, ma per interessarsi alla realtà con più presa, con più consapevolezza. Con più umanità” (Ivi, p. 90).

Ma il concetto di continuità con cui intendiamo iniziare è anche una diversità, perché “quando varchiamo la soglia di una chiesa antica, nessun segnale ci avverte che stiamo attraversando la frontiera che ci separa e ci unisce a un altro tempo e a un altro spazio. È tutto vicino, prossimo, ovvio: eppure muovere quel singolo passo significa cambiare dimensione” (Ivi, p. 5). Così quando passeggiamo lungo Viale Rovereto o Viale Trieste o via Milano, solo per fare alcuni esempi, poggiamo i piedi su una traiettoria urbana pensata molto tempo fa per i cittadini di allora e per quelli di oggi. Una traiettoria costruita interpretando la vita come quella giusta armonia tra negotium e otium, tra le laboriose attività quotidiane e le necessità di potere abitare spazi nei quali il pensiero si fa riflessivo, il camminare ‘pensante’ che se mette da parte le incombenze quotidiane corrobora l’esperienza della vita dei singoli. Quando percorriamo quei viali, quelle strade, quei percorsi, in realtà stiamo attraversando un modo di interpretare la vita di città, che si circonda di corsi d’acqua, di itinerari ameni, di zone d’ombra e di luce, di un parco, come quello pittoresco di Gocciadoro poco distante, e di abitazioni caratterizzate dallo stile liberty o da un eclettico storicismo per disegno degli architetti Ettore Sottsass, Antonio Rusconi o Emilio Paor. Certo, si tratta di una nascente area residenziale borghese che da Largo Porta Nuova, si spinge verso l’attuale via Grazioli, via Fiume e arriva nella “città giardino” come fu pensato il quartiere della Bolghera agli inizi del Novecento.

Tutta questa atmosfera, questo paesaggio culturale, si ritrova nella fotografia di Sergio Perdomi come in quella di Luca Chistè, dove poco sembra essere cambiato quasi a voler “far sentire ai nostri contemporanei che sui selciati delle strade, sugli asfalti delle automobili, risuona l’eco di passi innumerevoli. Una quantità di vite, di storie, di significati ancora udibili e conoscibili nello stesso spazio in cui viviamo noi: raccontabili, evocabili, leggibili, se solo guardiamo con amore. Se amore guarda, gli occhi vedono” (Ivi, p. 9). Tomaso Montanari suggerisce di avvicinarsi alle nostre città, ai monumenti, al nostro patrimonio con sentimento, “donandoci un’interiorità, cioè una capacità di mettere in risonanza lo spazio interiore con quello fuori di noi” (Ivi, p.10), un’intimità fatta di “amicizia profonda, intesa, confidenza, famigliarità, dimestichezza” (Ivi, p. 23). Così ha fatto Luca Chistè ponendo il suo obiettivo nella stessa angolatura di Sergio Perdomi ha cercato di cogliere la poesia di uno straordinario intreccio di modernità e tradizione, di una compresenza tra passato e presente che identifica la nostra vita contemporanea, “il palinsesto unico che circonda, accoglie, plasma le nostre vite” (Ivi, p. 40). Luca Chistè sembra aver intimamente avvertito il sentimento di questa città, non solo l’ha vista ‘alla Perdomi’ ma l’ha percepita e assorbita per osmosi, lasciando che l’occhio, nonostante il punto di vista obbligato, liberasse le proprie potenzialità e riuscisse a scattare fotografie comunque “diverse” dall’originale, perché “il punto non è ciò che si guarda ma come lo si guarda, con quale sguardo” (Ivi, p. 48).

Buona lettura e buona visione!

redazione

03/07/2023