Sembra strano, ma corrisponde alla verità, il fatto che per la questione dell'autonomia regionale quegli anni siano stati invece di grande fervore, pieni di iniziative febbrili, sia sul piano politico che su quello istituzionale.
Dopo l'approvazione del governo italiano, il Pacchetto venne sottoposto all'attenzione dei rappresentanti sudtirolesi. La Volkspartei il 22 novembre 1969 tenne un Congresso provinciale straordinario a Merano, al termine del quale una maggioranza piuttosto risicata (52,8%) approvò le norme del Pacchetto, anche grazie all'appassionata difesa del leader Magnago, che sudò le proverbiali sette camicie per convincere i suoi ad accettare la proposta del governo italiano. "È vero ricorderà poi in un'intervista al Congresso ho chiesto di votare sì. Ma ho anche aggiunto che un sì eterno non esiste".
Qualche giorno dopo, anche il Parlamento italiano approvò a larga maggioranza le norme del Pacchetto, mentre il 16 dicembre la stessa cosa fece il Parlamento austriaco, sebbene con una maggioranza appena sufficiente. In maniera sempre più incalzante e tempestiva nel tradurre gli accordi in leggi e decreti, nel gennaio 1970 il governo italiano formò un comitato di nove esperti con il compito di preparare il secondo statuto, in armonia con i princìpi che avevano ispirato il Pacchetto.
Queste decisioni del governo si inquadravano anche nel fervore per i problemi del decentramento e delle autonomie regionali che allora avevano interessato gli ambienti politici italiani. Si pensi ad esempio al fatto che il 16 maggio 1970 era stata approvata una legge sul finanziamento delle regioni e che il successivo 7 giugno si sarebbero tenute le prime elezioni regionali nella storia della Repubblica italiana, ottemperando così al dettato dell'art. 5 della Costituzione.
Nel luglio e agosto 1971 il Parlamento italiano approvò a grande maggioranza la legge che modificava il vecchio statuto di autonomia del 1948. Dallo schieramento favorevole si astennero solo i liberali, mentre i missini votarono contro. Finalmente, con decreto del Presidente della Repubblica in data 31 agosto 1972, venne promulgato il nuovo statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, composto di 115 articoli. L'aspetto più significativo e nuovo era il fatto che l'autonomia regionale veniva ufficialmente divisa in due autonomie provinciali, nel senso che la maggior parte delle competenze passava dalla Regione alle due Province autonome di Trento e di Bolzano, pur rimanendo alla Regione funzioni e compiti di raccordo tra le due Province.
Per la Regione autonoma, ma ancora di più per le due Province di Trento e di Bolzano, si apriva in questo modo un periodo nuovo che schematicamente si può riassumere ricordando i passaggi più importanti.
La definizione delle norme di attuazione dello statuto richiese un lungo lavoro da parte di due commissioni (dei sei e dei dodici), che si concluse solo nel 1992, quando il Parlamento italiano, il 30 gennaio, approvò l'ultima norma prevista dallo statuto. Qualche mese dopo, il 22 aprile, il governo italiano consegnò all'ambasciatore austriaco a Roma una nota diplomatica in cui si trasmetteva il resoconto della seduta della Camera dei deputati del 30 gennaio sulla chiusura della vertenza sudtirolese. Superate le diffidenze della controparte, che chiedeva anche un "ancoraggio internazionale", finalmente il 19 giugno l'Austria rilasciò la "quietanza liberatoria" sulla questione del Sudtirolo e i due governi di Vienna e di Roma notificarono al Segretario generale dell'ONU la chiusura della controversia. Il 27 gennaio 1993 il Presidente della Repubblica italiana, Oscar Luigi Scalfaro, si recò a Vienna in visita ufficiale. Era la prima volta in questo secolo che ciò avveniva e quel gesto, almeno sul piano diplomatico e storico, significava la fine di un lungo periodo di "inimicizia ereditaria" e l'inizio di una collaborazione tra i due Paesi, con ricadute positive per la provincia di Bolzano.
Per quanto riguarda, invece, la provincia di Trento, l'importante riforma istituzionale del 1971-72 ebbe riflessi non del tutto positivi sotto il profilo politico, poiché il Trentino si trovò nella situazione piuttosto scomoda di dover, per così dire, "giustificare" la propria situazione di provincia dotata di autonomia speciale, come se ciò costituisse un privilegio. D'altra parte nel decennio successivo la società trentina, a differenza di quella sudtirolese, si andò sempre più uniformando ai mutamenti di costume e di mentalità che avevano interessato tutta la società italiana e anche quella occidentale a largo raggio, per cui le radici della propria identità culturale e storica sono andate a poco a poco perdendo di vigore, malgrado gli sforzi da varie parti attuati per far conoscere alle generazioni più giovani la storia, le tradizioni, la cultura e tutti gli altri valori di una comunità un tempo caratterizzata da un forte senso di appartenenza.
Certamente tutto ciò è comprensibile in una fase storica di mercato globale e di intensi scambi multietnici. Eppure, se rimane ancora qualche possibilità di evitare gli aspetti più degradanti del processo di omologazione culturale e di massificazione, questa forse può essere offerta anche da una riappropriazione cosciente e appassionata della storia della propria "piccola patria", rifuggendo tuttavia da ogni forma di chiusura nei particolarismi e nel localismo.