Alle origini della Pieve di San Lorenzo. Storia e archeologia del costruito e del contesto

Sabato 10 agosto alle ore 21 presso il complesso pievano di Vigo Lomaso la presentazione del volume

Nel giorno del patrono San Lorenzo, sabato 10 agosto, alle ore 21, presso il complesso monumentale della pieve di Vigo Lomaso, sarà presentato il volume “Alle origini delle Pieve di San Lorenzo. Storia e archeologia del costruito e del contesto”. Coordinata da Enrico Cavada e edita dalla Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento e dal Comune di Comano Terme, la pubblicazione conclude un laboratorio di studio pluriennale iniziato nel 2015. Sono stati esaminati strutture, materiali, tecniche delle parti più antiche del complesso, direttamente legate alla sua fondazione e al cantiere che diede forma alle sue architetture. Un lavoro analitico presentato in dieci capitoli a firma di quindici autori che, con sguardo rivolto principalmente ai due edifici principali - la chiesa e il battistero ottagonale, un unicum nel panorama dell’architettura medievale trentina - hanno contributo a capirne il periodo e la società che ne è stata promotrice, fuori da ipotesi speculative e congetture. Dopo i saluti istituzionali, all’incontro interverranno mons. Luigi Bressan, arcivescovo emerito di Trento, e Andrea Zanotti, professore ordinario presso l’Università degli Studi di Bologna.

«Non posso nascondere una certa emozione nell’aprire questo volume che raccoglie le riflessioni di una ricerca impostata sul complesso pievano di San Lorenzo di Lomaso, un unicum nel panorama dell’architettura medievale trentina - scrive Enrico Cavada nell'Introduzione al volume dal titolo Tra le pieghe di uno studio interdisciplinare -. Con esso si conclude infatti un’attività di documentazione, di analisi e di interpretazione durata più anni e con cui un gruppo di lavoro ha esaminato a tutto campo i caratteri originali dell’architettura di questo complesso, in opera squadrata romanica di ottima qualità.

Questo senza tralasciare di considerare le successive trasformazioni e le possibili prove di una continuità dall’altomedioevo e da tempi ancora precedenti, che secondo alcuni sarebbero da ricollegare alla prima evangelizzazione cristiana e alle chiese costruite secondo la leggendaria Passio Sancti Vigilii dal Santo vescovo nei territori appartenenti alle giurisdizioni dei vescovi di Verona e di Brescia. Il caso di studio. Il complesso pievano, che risulta isolato ed è privo di un nucleo abitato aggregato, costituisce il centro di governo di una delle circoscrizioni che nel medioevo hanno costituito l’intelaiatura dell’organizzazione della cura d’anime del Trentino sudoccidentale.

Un ambito omogeneo, il più vasto in assoluto della diocesi, caratterizzato da pievi di medie e grandi dimensioni, discretamente ricche, di eccezionale stabilità e tutte già esistenti all’inizio del XIII secolo, provviste di un clero stabile, pienezza di diritti sacramentali, potestà di riscossione della decima, edifici di culto ben costruiti predisposti per la liturgia e l’assistenza caritativa cristiana. Luoghi pertanto diversi da qualsiasi altra tipologia edilizia di culto, che non manca nel territorio e che deriva da fondazioni promosse da singoli individui o da famiglie o da comunità in tempi antecedenti o con lo schema pievano già presente. Edifici “secondari” e subordinati (quattordici sono quelli censiti nel 1537 come dipendenti dalla pieve di Lomaso), che da condizione subordinata partecipano e collaborano ad assolvere alla cura animarum con valori che, in origine, più intimamente corrispondono alle aspettative di chi ne è stato il promotore e che poi mutano con chi viene ad utilizzarli, generazione dopo generazione.

Del nucleo pievano sono stati presi in considerazione i due principali edifici: la chiesa e il battistero in relazione ai tratti significativi unitari conservati della fase romanica (materiali, lavorazioni, tecniche e apparecchiature). Fuori dall’analisi è rimasta la domus plebani: un’ampia casa d’abitazione anch’essa contrassegnata da momenti costruttivi diversi con in sé - stando ai pochi lacerti murari a vista – importanti testimonianze edilizie connesse al peso e al ruolo ricoperti nella lunga durata di vita. Delle due costruzioni analizzate, è il battistero ad aver conservato in modo quasi completo l’originario aspetto con interventi successivi abbastanza rispettosi del suo impianto, delle dimensioni di superficie dei materiali in pietra negli alzati.

Descritto nel Cinquecento come “parva rutundate antiqua ecclesia in honorem Sancti Joannis Baptista dedicata ubi baptisterium positum est”, nel secolo successivo l’edificio - persa la funzione – fu sopraelevato e adibito a cappella confraternale dei Disciplinati e dei Battuti: una realtà laicale di partecipazione alla vita devozionale e mutualistica attiva nel Lomaso sin dal 1424. A questa si devono verosimilmente gli interventi, inclusivi purtroppo anche della demolizione dell’antico portale principale, che ci risulta completamente sconosciuto, ancorché oggi riproposto in stile con il restauro del primo Novecento. Più frammentate risultano invece le parti edilizie romaniche superstiti della chiesa, tagliate o inglobate da cantieri successivi. Si riesce tuttavia a ricostruire con buona approssimazione un edificio a pianta longitudinale, con aula interna a tre navate, larga m 11,50 e lunga m 21 e conclusa sul fondo verosimilmente da absidi sporgenti, non conservate salvo forse che nel sottosuolo e quindi non rilevabili, se non con l’apertura di scavi. Metodologia e organizzazione della ricerca. L’attività sul campo è stata sviluppata in forma di laboratorio ed ha avuto corso tra la tarda estate e l’autunno del 2015, con delle brevi riprese anche nell’anno successivo.

Vi hanno partecipato gruppi di allievi delle Università di Trento e di Padova (Riccardo Avesani, Letizia Bonelli, Elsa Centofante, Elisabetta Leoni, Flavia Valletta / Trento; Elisa Bernard, Francesca Parisi, Gaia Sinigaglia / Padova) coordinati da docenti (prof. Stefano Camporeale e prof. Gian Pietro Brogiolo) e da tutor (dott.ssa Martina Andreoli, dott. Marco Avanzini e dott. Riccardo Tomasoni). Del programma delle giornate sono state parte integrante anche delle iniziative d’incontro e di presentazione in progress della ricerca, aperte al pubblico. Per l’intero periodo si sono condotti approfondimenti e affrontate ricognizioni, costruendo in tal modo una storia di relazioni fra il monumento, la sua architettura e il territorio dove i costruttori si sono approvvigionati dei materiali d’opera.

Fondamentale è stato il rilievo strumentale geometrico-dimensionale degli edifici, realizzato dalla dott.ssa Martina Andreoli con strumentazione del Laboratorio di Archeologia e Scienze Affini (LASA) del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trento al fine di ottenere planimetrie ad altezze diverse, piante di fase, sezioni e prospetti di dettaglio. Per permettere il rilievo puntuale dei corpi di fabbrica, l’analisi delle discontinuità e delle macrofasi oltre che la schedatura e la documentazione delle apparecchiature murarie, delle tecniche costruttive e dei materiali impiegati è stata predisposta una piattaforma fotogrammetrica, con punti d’appoggio registrati mediante stazione totale. La mappatura fotografica per l’ottenimento di fotopiani misurabili degli alzati esterni e interni (64 in totale) è stata eseguita da Paolo Chistè (TeFALab, Laboratorio di Tecniche Fotografiche Avanzate dell’Università di Trento). In parallelo sono stati ripresi e documentati anche i prospetti murari longitudinali in opera quadrata del cleristorio e dei perimetrali Nord e Sud conservati nel sottotetto, i dettagli delle tracce di lavorazione sui blocchi e sugli elementi a riquadro delle aperture, i monumenti e le lastre scolpite romani, alto medievali e medievali conservati presso il nucleo pievano.

Ogni superficie ottenuta con raddrizzamento fotografico è stata ridisegnata, attribuendo sul campo agli elementi visibili in ciascuna un determinato numero d’informazioni, con questi principali obbiettivi: a) identificare - con riferimento prioritario alla fase romanica - i tipi di pietra impiegati, loro distribuzione e frequenza nell’apparecchiatura dei prospetti; b) stabilire il grado d’impiego dei lavoranti, specializzati e non, nelle diverse parti del processo costruttivo e dei ritmi di approvvigionamento, che può essere variato per materiale e provenienza; c) ricercare, sulla base dei litotipi determinati e delle quantità messe in opera, i punti di prestito (giacimenti di roccia aorante, cave, coni di frana, spietramento di terreni); d) riconoscere e documentare i segni lasciati sulle pietre dagli utensili impiegati nelle fasi di lavorazione dei blocchi (estrazione, pié d’opera e finitura) al fine di comprendere i diversi gradi di specializzazione delle maestranze (cavatori, scalpellini, muratori) ed i tempi delle lavorazioni per ottenere i blocchi finiti in relazione al diverso grado di durezza di ciascun tipo di pietra determinato dal peso specifico; e) comprendere le modalità di organizzazione ed i ritmi dei cantieri, evidenziati dalle pause nelle lavorazioni e da eventuali cambiamenti in corso d’opera; f) identificare la presenza e l’incidenza di materiali edili di reimpiego nella fase romanica e in quelle successive, anche al fine di stabilire - con riscontri più attendibili - la presenza o meno nello stesso luogo di costruzioni antecedenti, avanzata nella prospettiva di una relazione con i manufatti di raccolta antiquaria presenti sul posto. Risultati in sintesi.

Il volume contiene i risultati del laboratorio, secondo una struttura che per così dire può essere vista come “stratificata”. Due saggi ripercorrono la complessa problematica posta ai ricercatori dai manufatti antichi romani e altomedievali, frutto di una raccolta di gusto umanistico originata secoli or sono e proseguita nel Novecento con materiali provenienti da demolizioni e da recuperi fortuiti in terreni agricoli nei dintorni, senza stretta attinenza al luogo in cui sono conservati. Con riferimento agli edifici, un saggio ne ripercorre la memoria così come traspare "filtrata dalle fonti, laconiche prima del XV-XVI secolo. Cinque saggi si dedicano all’architettura, osservata da un’angolatura rivolta principalmente alla ricostruzione della sequenza costruttiva, ai tipi e alle quantità di pietra impiegati, alle lavorazioni applicate alle superfici, alle modalità dell’apprestamento in opera, alle parti superstiti degli apparati decorativi in pietra. Per il battistero queste informazioni sono servite anche a formulare un’analisi quantitativa inerente i possibili tempi di realizzazione, nonché della manodopera necessaria suddivisa in base alla qualifica e alla specializzazione dei lavoranti. Il costruito architettonico “destrutturato” per tipo di pietrame impiegato dai costruttori è infine servito a relazionare il materiale alla geologia del territorio con ricerca e valutazione di quelli che possono essere stati i bacini di prestito, l’ubicazione in rapporto al cantiere, la distanza. Fattori utili per valutarne i caratteri, ma anche il “potere” politico di un committente, misurabile proprio attraverso la capacità di accedere alle materie prime con apertura e sfruttamento di cave, controllo di maestranze, coltivazione mirata e quasi su misura nei termini di destinazione del materiale estratto senza dimenticare il trasferimento a pié d’opera, da gestire con altrettanta perizia. Si delinea così uno scenario storico, che – sulla base di riscontri comparativi di altre architetture romaniche trentine – pone la realizzazione di San Lorenzo tra la seconda metà del XII e il XIII secolo Decenni di intenso fervore edilizio sospinto dalla città vescovile di Federico Vanga nell’intero territorio trentino.

Sconosciuto resta però il nome di colui che ha promosso l’impresa di Lomaso. Pur tuttavia i tempi inducono a intravvedere il possibile, audace committente in Odorico da Saiano, archipresbiter de Nomaso e titolare della pieve dal 1208 al 1227, ma prima ancora influentissimo canonico e decano del Capitolo della cattedrale di Trento che compare ripetutamente nella documentazione vescovile sino al 1235», conclude Cavada

Informazioni: Provincia autonoma di Trento, Soprintendenza per i beni culturali, Ufficio beni archeologici; Via Mantova, 67 - 38122 Trento

tel. 0461 492161

e-mail: uff.beniarcheologici@provincia.tn.it

www.cultura.trentino.it/Temi/Archeologia

Enrico Cavada, archeologo

06/08/2019